A proposito del «lamento dei padri» sui figli che non si lasciano amare e capire, Guido Piovene osserva giorni fa che non esistono anziani che hanno torto e giovani che hanno ragione, né, inversamente, anziani che hanno ragione e giovani che hanno torto, ma «solo uomini, di varia età, nei rapporti di convivenza, necessariamente tesi, di un tempo rivoluzionario e agonistico».
Nei discorsi così confusi, così esitanti, e troppo spesso così bassamente adulatori dell’età giovane che si sentono fare attorno, questo è un punto fermo. Sia dunque, questo nostro tempo, «rivoluzionario» e «agonistico» quanto si vuole. Prendiamolo per quello che è, senza protervia e senza rispetti umani. Prendiamo, cioè sul serio, fatto per fatto e idea per idea.
Nell’articolo di Giovanni Arpino, da cui Piovene citava in epigrafe una frase, era riferito il discorso di un giovane di Viareggio che, seduto al caffè con la sua ragazza, così si esprimeva: «Moralismi, scandalismi... Fatti vostri, non nostri… A me non va bene niente. Né Viareggio né Cuba. Però non mi piace giudicare. Quello che succede è sempre di questo mondo, e questo mondo non l’ho inventato io. Vizi e virtù li ho inventati io? Mi diverto, ma so anche che divertirsi fa parte dell’esser giovani…».
Non suona nuovo, un simile parlare. È, all’incirca, il parlare di un personaggio di Moravia. C’è poco di rivoluzionario, nell’atteggiamento di questo giovane, il quale del resto si esprime più come un signorino viziato che come un ribelle. E anche poco di agonistico, visto che egli tronca senz’altro i rapporti, con quel suo dividere i fatti del mondo in «vostri» e «nostri» e dichiarare che questo mondo non l’ha inventato lui. Sicché per il momento si diverte; ma quasi per automatismo: perché «divertirsi» fa parte dell’«esser giovani»; quindi con un partito preso d’apatia che toglie ogni senso al divertimento stesso. E tuttavia la sua contestazione è globale, non c’è che dire.
Cercare di discutere con un giovane che parla così non avrebbe molto senso. Egli non è tenuto a dialogare con noi, lasciamo che vada a divertirsi. Ma non prima di avergli fatto notare che, lo sappia o non lo sappia, parlando come fa, egli rivela che la sua iniziazione al mondo degli adulti è già avvenuta, ed è Moravia (insieme, con parecchi altri anziani) ad aver presieduto al rito di passaggio. Questo non per via del noto paradosso secondo cui la natura imita l’arte, ma per un motivo molto più serio, e cioè che non si sfugge alle leggi che reggono qualunque società, anche la più disordinata.
Stando le cose come stanno nella società contemporanea, i fatti che anticamente avevano forme rituali avvengono oggi senza formalità, per influenze di secondo o terzo grado, attraverso la divulgazione cinematografica o le mode. Ma avvengono comunque. E il loro carattere è che, quanto all’essenziale, ossia il modo di intendere la vita, i giovani non possono, per cominciare, che assumere le idee degli anziani e portarle in qualche estremo. Ne consegue che la contestazione, quanto più si vuole globale e immediata, tanto più è costretta a svolgersi nell’ambito di idee, di schemi, di esempi già dati. Del che la ragione è appunto che questo mondo non è un’invenzione degli ultimi venuti. Il margine di libertà e di creazione -la vera rivolta, se si vuole- lo si raggiunge per altra e opposta via: considerando le idee, le norme (o la mancanza di norme) e il comportamento degli anziani come dei fatti da soffrire e da capire, al fondo, degli ostacoli da superare. Cominciare dalla rivolta, dando per scontato che le idee sono lì bell’e pronte e non c’è che da usarle, significa rimaner prigionieri del mondo degli adulti e non far uso della propria libertà che per aggiungere disordine a disordine, senza cambiar nulla di sostanziale.
È la mancanza del senso della libertà che più colpisce, nelle forme attuali della rivolta, per sfrenate e violente che siano, anzi quanto più sfrenate e violente sono. Andare all’università col fucile a tracolla, come gli studenti negri di Cornell University giorni fa, è uno sfogo teatrale, uno «psicodramma», come ha detto Raymond Aron della sommossa parigina del maggio scorso28, non il principio di una rivoluzione. D’altra parte, di fronte a manifestazioni così superficiali e così violente insieme, la crisi dello Stat ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!