Esisteva, fin da allora, una sinistra indefinita e mollemente eretica; anzi, si può ben dire che la sinistra era quella: del nucleo duro del comunismo ufficiale si cercava d’ignorare l’esistenza, ed esso stesso si camuffava in varie fogge. Ma, da tre o quattro anni a questa parte, è venuta formandosi una corrente d’opinione politica la quale non solo è completamente fuori da ogni partito, ma sfugge anche a ogni definizione ideologica chiara. Negli Stati Uniti, ha preso il nome di «nuova sinistra».
S’è formata, questa «nuova sinistra», per dato e fatto della politica americana: a essere esatti, in seguito alla guerra del Vietnam. Negli Stati Uniti, il movimento degli studenti dell’Università di Berkeley (ormai disperso) prese forza dalla ripugnanza per quella guerra, oltre che dal desiderio di agire -e non soltanto parlare- in favore dell’eguaglianza civile della popolazione negra. Anche in Europa, la guerra del Vietnam ha fatto cristallizzare, specie fra i più giovani, una corrente (o meglio si direbbe: uno stato) d’opinione le cui componenti sono abbastanza ovvie: antiamericanismo considerato sinonimo di anticapitalismo (e di antimperialismo); anticapitalismo inteso come rifiuto di quella che si usa chiamare «civiltà dei consumi» ed è concepita come l’ultimo stadio della degradazione della società borghese occidentale, la quale società sarebbe destinata a esser spazzata via dalla rivolta delle genti di colore o comunque vittime dell’imperialismo, Cina e Cuba in testa, Paesi dell’America latina e dell’Africa al seguito, magari con l’aggiunta degli arabi, vittime del colonialismo israeliano.
Questa sequela di tesi, nella quale si possono facilmente distinguere le influenze di J. P. Sartre e di Frantz Fanon, ma che in sostanza rappresenta una specie di riduzione all’estremo di taluni concetti che chiameremo marxisti tanto per intenderci, non costituisce certo un corpo di dottrine. Non varrebbe la pena di discuterla se non fossero in massima parte dei giovani a propugnarla e se, d’altro canto, il campo della politica offrisse attualmente a questi giovani altre e migliori indicazioni per manifestare l’insofferenza per il presente, lo sdegno per l’ingiustizia e il disgusto per la falsità che sono le passioni diremmo doverose della gioventù.
La questione potrebbe finire qui: con la constatazione che i fatti giustificano il ribellismo, sia pure incoerente, di questi giovani e che, visto che nessuno sa offrir loro un ideale politico più valido, è naturale che essi si servano di quello che son riusciti a fabbricarsi con i relitti e residui delle idee che hanno ereditato dai loro padri e fratelli maggiori.
Ma non può finir qui, la questione. Per confusionari che siano, questi giovani vanno presi sul serio, e l’unico modo di non prenderli in giro è quello di trattarli da pari a pari, discutere le loro idee senza indulgenza né disprezzo.
Ora, il fatto è che le idee della «nuova sinistra» non peccano tanto per incoerenza quanto perché rappresentano un tentativo di uscire dal vicolo cieco in cui si dibatte da decenni la sinistra europea spingendo all’assurdo precisamente le tendenze che l’hanno portata nel vicolo cieco medesimo. Il che vale quanto dire che le idee della «nuova sinistra» non sono in realtà né un ripensamento delle idee socialiste o libertarie né un nudo, crudo e pragmatico piano d’azione, ma una mera operazione cerebrale: letteralmente, un sogno a soggetto politico, il quale può diventare tema di discorsi, e magari anche di libri, ma non per questo esce dall’irrealtà intrin ...[continua]
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