Quest’abitudine piuttosto turpe (turpe perché è cosa turpe lusingare i giovani, quando quello di cui essi hanno bisogno, e che chiedono, è di essere illuminati, guidati e corretti) non è di oggi, bensì dell’altro ieri: data dal tempo fascista. È a quel tempo, al primo dopoguerra, che risale propriamente il cosiddetto «problema dei giovani». Ne parlò anche Gobetti, senza molta chiarezza.
Il «problema dei giovani» nacque in sostanza dalla fiducia eccessiva che, prima del 1914, gli adulti nutrivano nei valori morali, politici e culturali su cui sembrava solidamente assisa la civiltà detta «borghese». Ma, dopo il 1914, e con moto accelerato dopo il 1918, come bene disse Valery, le civiltà hanno appreso di essere mortali. La fiducia, la sicurezza e la sufficienza degli adulti dovevano apparire assai poco fondate a quelli che, giunti alla maturità verso il 1920 e dopo, non videro attorno a sé che le rovine di un mondo e furono testimoni dello scatenarsi parallelo della violenza, della tirannide e del nihilismo.
Oggi, tuttavia, l’atteggiamento degli adulti non si distingue certo per una fiducia smisurata nelle proprie virtù e per un’intransigenza irriducibile nel mantenimento dei princìpi morali e intellettuali sui quali si suppone (sempre più da lontano e sempre più debolmente) fondata la società in cui vivono. È vero piuttosto il contrario: il mondo degli adulti, dei padri, dei fratelli maggiori trasuda la mancanza di convinzione, il relativismo, l’ambiguità morale, il realismo cinico, l’ossessione dell’utile e del successo a ogni costo. E di ciò sono esempio preclaro per indegnità le cosiddette élites, sia politiche che intellettuali.
In queste condizioni, seriamente parlando, i giovani non si sentono tiranneggiati; ciò che provano è piuttosto, da parte degli adulti, una mancanza di guida e un’incapacità d’esempio pressoché totali. La rivolta dei giovani, con tutti gli equivoci che la caratterizzano, viene da questo, non certo dall’esistenza di una società angusta e rigorosa che li opprima con falsi dogmi e ingiuste norme.
Una società come l’attuale, profondamente disordinata in ogni campo -religione, politica, morale, arte, pensiero- non ha molto diritto al rispetto dei giovani. Lo spettacolo della vita pubblica e l’esperienza della vita privata non possono non essere sconcertanti per i giovani, non suscitare in essi un’insoddisfazione radicale e, con l’insoddisfazione, la rivolta. Ma la rivolta contro una confusione flaccida e corrotta non può essere che caotica e sterile, dato che ciò contro cui ci si rivolta non è più, come nel secolo scorso e fino al 1914, un ordine tradizionale scaduto, ma una mancanza d’ordine che non resiste ad alcun attacco e non offre alcuna presa solida alla ragione critica, visto che ammette senz’altro tutte le contraddizioni e tutte le ambiguità, nonché tutti i compromessi.
Così stando le cose, non c’è da meravigliarsi se la rivolta dei giovani assume la forma, apparentemente paradossale, della rivolta conformista. Infatti, al disordine imperante, essa sembra contrapporre da una parte delle forme estreme d’incoerenza e d’incongruenza nella sensibilità, nei gusti estetici e nei costumi ma dall’altra un rispetto molto realistico dell’efficacia, del successo, del mondo che, come dice Moravia, «è quello che è», e alla fine anche della morale convenzionale, giacché, al termine di ogni sregolatezza, che cosa si trova se non le necessità quotidiane e le regole usuali? Il fenomeno, così nuovo e così significativo, dell’enorme importanza che ha assunto la clientela dei giovani per il mercato dei prodotti industriali (dischi, indumenti più o meno bizzarri, macchine e macchinette varie, film) indica abbastanza bene che, per cominciare, questi giovani ribelli sono le vittime inermi dell’organizzazione economica attuale e dei suoi mezzi di persuasione più o meno occulta.
Il carattere fondamentalmente conformista della rivolta dei giovani (o forse si dovrebbe dire dei modi e maniere più appariscenti della gioventù contemporanea) si traduce spesso in un’inerzia abbastanza curiosa di fronte alle idee e ideologie correnti. Che ...[continua]
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