Eppure, è in nome della morale che l’eminente magistrato aveva perorato, e in prima persona. «La mia morale -aveva detto- rifugge da un capovolgimento dei sacri princìpi morali che sono alla base della nostra civiltà»; e aggiunto fieramente: «Non credo che i miei princìpi siano superati perché è stato fatto tanto fracasso intorno a me e contro di me. Anzi questo fracasso dimostra che i miei princìpi sono ancora validi...».
Si può dunque supporre che, nel fare tali proclamazioni, il dottor Lanzi facesse soltanto della retorica forense in adempimento delle sue mansioni ufficiali, ma in realtà come individuo privato pensasse, se non il contrario, almeno cose affatto diverse e più complesse di quelle che veniva enunciando e che, per esempio, non ritenesse affatto «perle di fango» (secondo l’immagine da lui usata nella requisitoria) le opinioni stampate nel famoso giornaletto studentesco; e che, per fare un altro esempio, pensasse anch’egli, come una delle studentesse intervistate, che «la purezza spirituale non coincide con l’integrità fisica», concetto che in tribunale egli aveva bollato come corrotto e corruttore.
Nell’opinione di alcuni, ciò potrebbe anche tornare a merito del dottor Lanzi come persona privata. Rimarrebbe comunque che, nel dichiararlo pubblicamente, egli ha implicitamente enunciato una versione giudiziaria del principio della doppia verità da cui il prestigio delle norme morali che egli ha con tanta foga difeso non può trarre gran vantaggio.
D’altra parte, così parlando, l’eminente magistrato ha stabilito una distinzione fra la funzione e l’individuo che la esercita la quale permette di discutere in via del tutto impersonale la sola questione che, in tutta la faccenda degli studenti milanesi e del loro giornaletto, sia veramente importante: quella dei fondamenti, in Italia, di una morale generalmente accettata, se esistano e quali siano. Giacché, assoluzione o condanna, è solo se i princìpi della morale comune sono in Italia abbastanza chiari da fondare un giudizio fermo che da una parte si giustifica l’azione intentata dalla Procura di Milano in loro difesa, dall’altra assume significato di affermazione morale quella di chi li revochi in dubbio. Altrimenti non c’è che falso scandalo e falsa ribellione.
Cominciamo col ricordare che, nella sua requisitoria, il dottor Lanzi ha indicato chiaramente quale sia, secondo lui, il fondamento dell’«uniformità» morale italiana: «Tutto ciò che è morale e religioso per la Chiesa viene acquisito dalla morale e dall’etica italiana» egli ha detto. Ciò in base al Concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede.
Affermazione draconiana che pochi teologi e canonisti approverebbero, in quanto interpreta in modo pericolosamente laico e affatto esteriore il rapporto fra morale cattolica e società italiana, riducendolo alla messa in vigore automatica delle leggi di uno Stato da parte di un altro Stato. Più moderatamente, commentando la sentenza d’assoluzione degli studenti milanesi, "L’osservatore romano” si era limitato a ricordare le «garanzie istituzionali al fondamento cristiano della famiglia e dell’educazione» vigenti in Italia e aveva citato le parole pronunciate dal presidente della Repubblica ricevendo il Pontefice, parole secondo le quali la Costituzione italiana «affonda le sue radici nell’etica cristiana». Senonché tali parole sono tutto sommato un’abile circonlocuzione, evitano di riconoscere che l’etica cristiana gode di garanzie istituzionali da parte dello Stato italiano e, in sostanza, non significano molto di diverso da quel che intendeva Benedetto Croce quando spiegava «perché noi non possiamo non dirci cristiani». In ogni caso, esse non tirano a conseguenze giudiziarie di sorta.
Il richiamo del dottor Lanzi in veste di Pubblico Ministero a una morale cattolica che avrebbe in Italia vigore di legge è comunque inficiato dall’appello a un’altra e ben diversa fonte di moralità contenuto nella sua requisitoria, là dove egli esclamava: «Questo è te ...[continua]
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