El Watan / 2011
                Testo di  Redazione Una Città
                
                
            
Perché l'Algeria non sarà mai la Tunisia
             Un esercito "pretoriano", un'opposizione senza credibilità, una società civile estremamente frammentata e una rendita petrolifera con cui "comprare" la pace sociale: ecco perché, secondo Mélanie Matarese, di El Watan, l'Algeria sarebbe refrattaria alla rivoluzione tunisina. L'esercito: mentre il modello securitario tunisino era verticale, in Algeria è orizzontale: il potere ha stabilito con l'esercito e con i servizi di sicurezza un sistema più complicato, dando vita a una forma di potere politico che Bassma Kodmani, directrice del think tank Arab Reform Initiativ, definisce «securitocrazia». In molti sostengono che l'esercito algerino, in quanto "esercito della liberazione nazionale", vanti un forte potere simbolico. Alcuni intellettuali, tra cui Mohammed Hachemaoui, politologo e professore, contestano questa versione, ricordando la drammatica repressione manu militari dell'ottobre del 1988, quando ci furono più di 500 morti, e il ripetuto e indiscriminato uso della tortura. Il capitale simbolico della liberazione nazionale, per Hachemaoui, è stato da tempo dilapidato da questo regime. Poi c'è la società civile. Ratiba Hadj Moussa, professore di sociologia a York e Toronto spiega che «in Tunisia il movimento di protesta è stato molto seguito e appoggiato dai sindacati, dagli avvocati, dai giornalisti e dalle associazioni per i diritti umani. In Algeria la situazione è molto diversa: le rivendicazioni della popolazione non sono sostenute dalla società civile». All'accusa di inerzia, i rappresentanti delle varie associazioni e organizzazioni rispondono che in Algeria da tempo è venuto meno qualsiasi spazio pubblico d'espressione. In realtà, continua, Moussa, «il problema deriva da come gli algerini percepiscono il cambiamento: anche durante i moti del 1988 nessuno si aspettava che fossero i giovani a portarlo». Resta diffusa l'idea che la trasformazione non possa che venire dal movimento operaio. Per quanto riguarda l'opposizione, è incastrata tra due opzioni: chi rifiuta di negoziare col regime non ha spazio d'espressione e quindi non esiste. Chi accetta di essere rappresentato in Parlamento perde qualsiasi credibilità agli occhi della gente. L'altra differenza fondamentale con la Tunisia è che in Algeria, grazie al petrolio e al gas, lo stato sociale è tra i più generosi del mondo arabo. Anche questo alimenta quell'effetto di inerzia che fa sì che oggi il cambiamento delle istituzioni non sia all'ordine del giorno. E tuttavia la corruzione generalizzata sta creando delle diseguaglianze che non saranno sostenibili ancora a lungo. Per tutte queste ragioni, Ihsane El Kadi, direttore del sito "Maghreb Emergent", crede a un'apertura «pilotata dal potere». Il regime infatti è consapevole che una chiusura porterebbe a una rivolta generale. Gli algerini, da parte loro, sono altrettanto consapevoli che uno scontro frontale li condannerebbe ad altri sacrifici, e non ne vogliono sapere.Non resta allora che sperare nelle elezioni del 2012: se gli algerini sapranno capitalizzare l'esperienza di queste settimane, potrebbero esserci delle sorprese. (el watan) 
            
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