Personalmente non ero né favorevole né contrario, e quando su Facebook mi arrivò l’invito a partecipare alle manifestazioni del 25 gennaio, avevo cliccato "forse”. Le manifestazioni tutto sommato fanno sempre bene: sono belle occasioni per riunirsi, e ultimamente, in Egitto spuntavano come funghi. Passeggiando in una qualsiasi mattinata cairota da via Qasr el-Aini a via Abd al-Khaliq Tharwat era impossibile non imbattersi in almeno sette tra manifestazioni e sit-in: ognuno con le sue richieste specifiche. Nessuna però aveva mai prodotto dei risultati e questo riempiva il cuore di delusione e di disperazione.

Fin dalla mattina, il 25 gennaio era sembrato un giorno diverso. Seguivo dall’ufficio le notizie sull’affluenza alle manifestazioni: ne stavano scoppiando in diversi governatorati e in varie zone de Il Cairo, al di là di ogni aspettativa.
La sera, raggiungendo Piazza Tahrir, mi trovai davanti una scena completamente diversa da tutto quello che avevo visto nella mia vita: nonostante i lacrimogeni e i proiettili di gomma, sembrava che in quella piazza la gente stesse vivendo i momenti più felici della sua vita: c'erano energie positive. In un giorno soltanto la speranza era cresciuta, si era radicata come un albero la cui crescita non poteva essere più fermata. Mi imbattei in un giovane che vagava per le strade del centro: «Scusi, come posso arrivare a Piazza Tahrir?». Eravamo in via Hoda Sharawi. Mentre gli indicavo la piazza mi interruppe: «Ma ci sono ancora le manifestazioni o è finito tutto?», «No no, ci sono ancora». Mi rispose di getto: «È che non conosco nessuno... Ho ricevuto un invito su Facebook ed eccomi qui...».
Sembrava che fossero decine di migliaia le persone che avevano ricevuto quell’invito e che tantissimi avessero cliccato "sì”, ma che anche tutti quelli che avevano cliccato "forse” avessero poi deciso di scendere in piazza.
Le manifestazioni si susseguivano, le forze dell’ordine arrivavano da tutti i lati e, già dal giovedì notte, l’aria de Il Cairo era satura di lacrimogeni "made in Usa” (un regalo generoso da parte degli Stati Uniti, che gli egiziani non dimenticheranno mai). Ma i lineamenti della gente e il dispiegamento delle forze dell’ordine rendevano chiaro che l’indomani, venerdì 28 gennaio, sarebbe stato davvero "il giorno della rabbia”.
Quando mi alzai, il venerdì mattina, scoprii che la rete dei telefoni cellulari era interrotta e che Internet era stato bloccato in tutto l’Egitto. Il messaggio era chiaro: il Governo stava per compiere una strage.
Da via al-Sahafa uscii verso via al-Galaa, in cui avanzava un corteo gigantesco, pieno di donne e bambini. I dipendenti dell’ospedale di al-Galaa lanciavano le maschere ai manifestanti per aiutarli a resistere ai lacrimogeni.
Appena raggiungemmo la fine della strada iniziò la carica: ho visto coi miei occhi un ufficiale che avanzava tra le file dei soldati per lanciare da solo più di quindici lacrimogeni.
Ho visto coi miei occhi donne fuggire coi loro figli.
Ho visto coi miei occhi bambini rischiare di soffocare.
Ho visto coi miei occhi un lacrimogeno colpire il viso di una donna sui trent’anni. Portava il velo ed è morta sul colpo.
Fuggimmo dal gas, mi sentivo soffocare, stavo per perdere i sensi. Mi gettai nelle stradine laterali di Bulaq: accettai l’invito di mastro Hisham ed entrai nella sua officina. A Bulaq vidi il commissario rilasciare banditi e persone con precedenti penali soltanto per intimidire gli abitanti del quartiere. Ma vidi anche la gente di Bulaq che li arrestava, li picchiava, li costringeva a indossare camicie da donna e a girare per le strade coperti dall’onta di aver tradito la gente del loro stesso quartiere.

Sono rimasto bloccato a Bulaq per circa cinque ore, mentre il fracasso delle granate lacrimogene e dei proiettili si era fatto monotono.
I rumori si sono calmati leggermente alla notizia del coprifuoco e con l’arrivo dei primi carri armati. Uscito da Bulaq, mi sono diretto verso il centro e poi verso piazza Tahrir. Per la prima volta l’aria de Il Cairo aveva un sapore diverso. I carri armati dell’esercito hanno iniziato a dispiegarsi al palazzo della radio e della tv egiziana, cercando di farsi strada verso Piazza Tahrir, in cui erano rimasti gli ultimi uomini delle forze di polizia che sparavano ancora contro i manifestanti proiettili metallici e di gomma, e lacrimogeni. I negozi delle vie secondarie erano quasi tutti chiusi e sui volti della gente c'era un'espressione di s ...[continua]

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