Tre giovani amici sondriesi, appassionati d’informatica, “emigrati” a Milano vivono e lavorano insieme in una grande casa di corso Buenos Aires piena di computer sempre accesi. Come siete arrivati a fare questa scelta?
Fabio Pedrazzoli. Io e Maurizio siamo fratelli, Giordano lo conosco dalle elementari, siamo sempre stati amici.
Giordano Mandelli. A un certo punto ci siamo detti che oltre a uscire la sera a divertirci, dato che a tutti piaceva il computer, potevamo provare a lavorare insieme. Poi abbiamo visto che per fortuna il lavoro c’era e che forse saremmo riusciti davvero a costruire qualcosa di autonomo e soprattutto, anche se è una parola un po’ abusata, di libero; un’impresa in cui potessimo spendere energie, tempo e soldi per riuscire a creare qualcosa di bello, dando dei prodotti anche gratis, mettendo in circolo strumenti utili alle persone.
Maurizio Pedrazzoli. Prima di metterci in proprio però abbiamo lavorato tutti in società informatiche piuttosto grosse, sperimentando i cosiddetti metodi della new economy. In queste aziende funziona così: un progetto va fatto in metà tempo rispetto a quello che sarebbe necessario, quindi viene fatto male e per di più non ha nessuna utilità sociale, sono solo cose pubblicitarie, l’unico scopo è vendere. Noi invece siamo dei tecnici, teniamo più alla qualità che al marketing, anche se fondamentalmente vendiamo le stesse cose. All’inizio non ci pensavamo, ma poi ci siamo resi conto che per ottenere le soddisfazioni che ci interessavano, bisognava creare una sinergia fra noi, assumerci delle responsabilità maggiori e anche dei grattacapi, come la gestione di un bilancio e quelle cose lì che, va beh, all’inizio schifavano.
Fabio. In realtà abbiamo un commercialista, però bisogna comunque occuparsene, perché purtroppo è da lì che arrivano i soldi per mangiare, anche se poi tendiamo a buttarcelo addosso a vicenda. Una spinta importante per la fondazione della nostra società è venuta pochi anni fa, quando, in pieno boom di Internet, siamo confluiti tutti insieme in un’azienda che era in start up. Avevamo già fatto delle cose fra di noi, la sera capitava di trovarsi e confrontarci, ma quella è stata l’occasione per lavorare fianco a fianco. Siamo rimasti lì poco più di un anno, abbastanza per renderci conto che i dirigenti si muovevano in modo schifoso, da tutti i punti di vista. L’unica cosa importante era il profitto, le persone non erano niente, il lavoro non era niente, la qualità non era niente. Una delle prerogative dei cosiddetti accounts (venditori) della new economy è proprio quella di vendere tutto, anche quello che l’azienda poi non sa fare. Siamo al solito discorso dell’operaio e di chi lo comanda: chi conosce il lavoro non ha voce in capitolo.
Maurizio. Più l’azienda è grossa e più il danno aumenta; io pensavo che le dimensioni andassero di pari passo con una certa precisione nell’organizzazione, invece le esperienze più disastrose le ho avute con le multinazionali.
Come vi siete avvicinati all’informatica?
Fabio. Io ho fatto l’Itis con indirizzo in elettronica e telecomunicazioni, ma all’informatica mi ci sono appassionato da solo, ho studiato qualche anno utilizzando il formidabile sistema di documentazione messo a disposizione dal free software, ho sperimentato e poi ho cominciato a lavorare come sistemista. A dire il vero quando stavo a Sondrio ho fatto un po’ tutti i lavori: parcheggiatore, muratore, lavapiatti, poi mi sono iscritto a fisica, lavoravo e studiavo, mi avevano preso in Telecom a Milano, nove mesi part-time al servizio 12, però, scaduto il contratto, c’era il problema della naia che mi impediva di trovare un lavoro continuativo per mantenermi a Milano. Così sono dovuto tornare in Valtellina e lì mi sono arrangiato a fare dei lavori sporadici, tipo lavoro interinale, cooperative, volantinaggi. Dopo quattro anni di visite all’ospedale militare mi hanno riformato, ma non li considero anni persi, ho studiato da solo quello che mi interessava.
A quel punto Telecom mi ha richiamato, sono stato per un anno e mezzo al centro elaborazione dati a stampare le bollette e nel frattempo studiavo Linux, così sono riuscito a farmi assumere come amministratore di rete in un’azienda di ingegneria ambientale qui a Milano, dove sono rimasto per un altro anno ...[continua]
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