Pier Cesare Bori insegna Filosofia Morale e Storia delle dottrine teologiche presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna. Tra le sue opere, Gandhi e Tolstoj, (con G. Sofri), Il Mulino 1985, Per un percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta (con S. Marchignoli), La Nuova Italia Scientifica 1996.

L’esperienza che stai facendo in carcere è particolare. Puoi raccontarci?
Nel novembre del ’98 ho cominciato un lavoro di insegnamento al carcere Dozza di Bologna. Non sapevo niente di come fosse, però ero mosso dal desiderio di provare anche in questo contesto un percorso formativo che sto sperimentando da dieci anni a Scienze Politiche, un percorso di filosofia morale. Si basa su una sequenza di testi classici delle varie culture da leggere collettivamente, ricavandone un elemento di discussione, di approfondimento non per una morale, ma per un’idea delle morali.
Ho ottenuto immediatamente accesso al carcere da parte dell’amministrazione: il direttore dottor Michele Rizzo e il vicedirettore, dottor Luca Candiano, si sono dimostrati molto interessati. Per alcuni mesi ho lavorato con detenuti maghrebini; la scelta successiva è stata quella di lavorare anche con i detenuti del penale, quelli con condanne lunghe, definitive.
Con i maghrebini andavo nel braccio, aspettavo lì: a poco a poco si è formato un bel gruppo. In carcere ci sono circa otto-novecento detenuti di cui un terzo sono stranieri e degli stranieri due terzi sono nordafricani. Si lavora con piccoli gruppi, sempre inferiori a dieci, con una grande mobilità, per cui in realtà il corso viene seguito da più di dieci detenuti.
Sia con i detenuti del penale che con i maghrebini ho fatto pressoché lo stesso corso di filosofia morale, con una sequenza di testi che, fra l’altro, è quella contenuta nel mio libro Per un percorso etico tra culture (Bori-Marchignoli): si comincia con Platone, con Repubblica, la caverna ovvero la prigione, poi Confucio, Mencio, il Bhagavadgita, un testo indiano, qualcosa di buddismo, il Deteuronomio, qualcosa del Nuovo Testamento, qualcosa dello stoicismo, poi Tolstoj e altri.
Si leggono questi testi in maniera critica, pluralistica, con molta emozione, con grande senso di verità.
Con i maghrebini a poco a poco ho definito ulteriormente il programma di letture: arrivati all’islamismo non ho insistito sul Corano, perché è un testo troppo difficile e complesso, ma ho letto una serie di altri libri. Io conosco un po’ l’arabo, sono in grado di leggerlo e quindi abbiamo analizzato testi come Figlio mio di Al-Ghazâli, La città virtuosa di Al Fârâbî, di Ibn Zafar, che è uno scrittore arabo-siculo, la storia di due elefanti che fuggono per la libertà, poi Ibh Hazm, un autore andaluso, fino a Ibn Rushd, Averroè, che è estremamente importante per i motivi che magari dopo dico. Ora, per quanto riguarda i grandi autori, presento sempre una sintesi in arabo e poi leggo in italiano. Questo aiuta molto: è un riconoscimento alla dignità di questa lingua dalla grande tradizione filosofica. Con i maghrebini, da aprile, è intervenuto un gruppo di miei studenti, quasi tutti laureandi, e con loro ho portato avanti un corso il cui nerbo era sempre costituito dalle mie lezioni di filosofia morale, ma che si articolava in una lezione di due ore, tutti i giorni da lunedì a venerdì, e che abbiamo chiamato "corso di accesso rapido alla cultura europea" e, quindi, con un po’ di letteratura, di storia, geografia, i rudimenti del computer, un po’ di inglese. A fine giugno abbiamo consegnato ai ragazzi maghrebini un diploma con loro grande gratificazione. A settembre abbiamo ripreso. Nel frattempo si era resa disponibile la nuova area didattica con spazi più belli e confortevoli, un buon contesto. Devo dire che invece salire su, nel braccio, che è molto rumoroso, era pesante. Così ora stiamo ripetendo questo corso e finiremo a metà febbraio, poi ci sarà un secondo ciclo da marzo a giugno.
In che cosa si differenzia il vostro intervento rispetto a quello degli assistenti sociali e dei volontari che vanno in carcere?
Ho scoperto che in carcere si fanno moltissime cose. Innanzitutto si fa istruzione: ci sono scuole elementari, medie, tecniche, professionali, ci sono molti insegnanti, non so il numero, ma le scuole sono di ogni ordine e grado, e alcuni fanno anche l’università. Il carcere è una città, ci sono 550 agenti, ci sono educatori, ci sono miriadi di progetti, ci sono moltissimi soldi anche. Poi c’è ...[continua]

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