Franco Lorenzoni, maestro elementare, insegna a Giove, vicino ad Amelia (TR).

Quest’anno la Fiera delle utopie concrete inaugura un ciclo dedicato ai sensi, cominciando dall’udito. Puoi parlarcene?
Per prima cosa vorrei dire che per me il senso della Fiera delle utopie concrete di Città di Castello sta nel sottotitolo che volle dargli Alex Langer: “per la conversione ecologica”. Credo che Alex pensasse che rendere compatibile la presenza dell’uomo sul pianeta comportasse necessariamente una conversione, innanzitutto individuale. Quindi, paradossalmente, parlare di conversione ecologica vuol dire parlare in termini apolitici, addirittura antipolitici. D’altra parte, è chiaro che per attuare una conversione è necessario un contesto culturale, favorire lo sviluppo del quale è un problema politico.
Così, quando abbiamo ragionato sul nuovo ciclo della Fiera e Peter Kammerer ha proposto un ciclo sui sensi, sono stato subito d’accordo, perché parlare dei sensi è parlare del corpo e parlare del corpo è parlare della persona nel senso più intimo. Significa che, per affrontare un problema così vasto come quello di rendere compatibile la vita degli uomini sul pianeta, noi dobbiamo ripartire da noi stessi, dalla parte più intima del rapporto con noi stessi, che è il percepire. Mi è sembrato, quindi, che si ritornasse allo spirito iniziale della Fiera, il cui primo ciclo fu dedicato ai quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco, e all’idea di rivolgersi a quelle che Alex chiamava le “persone di buona volontà ecologica”, siano esse amministratori pubblici, operatori culturali, insegnanti o persone che lavorano nel campo ecologico di base, nella produzione, nell’agricoltura.
Un altro tema dell’eredità che ci ha lasciato Alex -che per me costituisce ancora un nodo irrisolto- è il rapporto, per lui evidente, anche se non per tutti, tra il fare la pace tra gli uomini e il fare la pace con il pianeta, del rapporto tra ecologia come equilibrio dell’ecosistema ed ecologia sociale, intese come strategie di convivenza fra diversi. Nel mondo ci sono ottimi ecologisti che contribuiscono molto marginalmente alla questione della convivenza fra diversi, così come ci sono persone impegnate sul terreno interculturale che assolutamente non vedono nell’ambiente un’emergenza drammatica, attuale ed imprescindibile. Ecco, per me la tensione a tenere unite queste due cose è fondamentale. Io non credo che ci sia la possibilità di conversione ecologica senza una grande, profonda proposta culturale.
Hai parlato di corporalità, di intimità. Tu sostieni, però, che i sensi sono un fatto molto culturale...
Penso che il percepire sia legato a una sorta di mitologia che noi ci costruiamo. Il percepire è la cosa meno oggettiva e, forse, anche meno singola che c’è. Noi pensiamo che appartenga al singolo, all’individuo, invece io credo che la percezione sia veramente un fatto culturale. Ogni cultura ha infatti elaborato un suo modo di percepire il mondo. Quando noi guardiamo, spesso stiamo confermando un modo di vedere, una “visione del mondo”: per esempio, c’è sicuramente un modo di guardare il mondo politeista e uno monoteista, che forse hanno difficoltà a parlarsi fra loro.
Faccio un esempio legato proprio all’esperienza della Fiera. Nella Fiera della Terra, del ’89, facemmo un lavoro dentro una grotta con un gruppo di speleologi di Città di Castello. Abbiamo esplorato una grotta e ci abbiamo vissuto dentro per diverse ore al giorno per due settimane. Per noi era molto strano stare in una grotta per tanto tempo, perché è proprio un’altra dimensione, se non altro per il silenzio e il buio veri, assoluti, come non si possono dare mai nella nostra vita, se non, appunto, sottoterra. E queste due cose già da sole sono molto forti.
Ma noi volevamo mettere in scena in quella grotta la storia di Ade e Persefone, in particolare la parte del mito in cui Ade rapisce Persefone. C’è un dialogo in cui Ade si chiede: “Perché tutti questi mutamenti?” -ed è la morte che interroga la vita- “Perché nascere quando tutta l’immobilità oscura è così piena e densa? Perché questo desiderio di trasformarsi?”. Mettere concretamente in scena questo dialogo dentro la terra è stata un’esperienza molto appassionante, anche perché, con la scusa di dover venire a vedere uno spettacolo, la gente è scesa in una grotta in cui mai sarebbe scesa. La grotta fra l’altro aveva un ingresso molto stretto, sembrava veramente di attraversare le viscere della terra. Era ...[continua]

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