Franco Lorenzoni, maestro elementare, è il fondatore della Casa-laboratorio Cenci.

Cenci ha vent’anni. Cosa state preparando per celebrare l’anniversario?
Ad Amelia a fine marzo terremo un convegno internazionale di quattro giorni per discutere di una questione che a noi sta molto a cuore, ossia la conversione ecologica. E’ un concetto che usò Alexander Langer nell’88, quando si cominciò a parlare della Fiera delle Utopie Concrete a Città di Castello. Mi sembra molto importante riprendere quella concezione perché, in chi fa educazione ambientale, ormai è passata l’idea che l’unica possibilità sia lavorare per quello che viene chiamato lo sviluppo sostenibile. Io trovo molto ambiguo questo termine. Ad essere franchi non credo che ci possa essere uno sviluppo sostenibile, se non nel senso riduttivo di escogitare piccoli accorgimenti per garantire alla popolazione dell’Occidente, minoritaria e ricca, di stare un po’ meno peggio. Ma la questione globale, del pianeta, è piuttosto mettere drasticamente in discussione la questione dello sviluppo, il che pone un grandissimo problema: come sostenere una tesi avversata dalla maggioranza della popolazione? Alex infatti si chiedeva: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? Parlava di “civiltà” e questo mi sembra importante, non parlava di cultura e, men che meno, di sviluppo. Noi siamo in una società in cui il desiderio collettivo di qualcosa che sia fondato sull’equilibrio, soprattutto sull’equilibrio nord-sud, e poi sull’equilibrio tra noi e la natura, non trova spazio di realizzazione. Questo ci pone con forza la questione educativa. Penso che tutti coloro che lavorano in campo educativo abbiano delle enormi responsabilità, come quella di aiutarci tutti a ripensare il mondo e il modo in cui viviamo, a partire dalla questione cardine, che è il nostro consumo: quanto consumiamo e cosa consumiamo. Perché pare che fin da piccoli i bambini siano educati all’idea che la felicità è misurata sulla quantità di consumo. Il che è un’assurdità totale. Faccio un esempio molto concreto. Il figlio di una mia amica, quest’inverno a Natale stava giocando con la Play Station 2 allo snowboard, un gioco effettivamente molto bello, divertente e tecnicamente molto sofisticato. Era appassionatissimo perché poteva andare fuori pista, rischiare, fare dei salti e a Natale ha trascorso ore e ore davanti a questo schermo. Allora, a un certo punto, un po’ per scherzare, gli ho detto: “Ma forse con gli stessi soldi, ti saresti potuto pagare una settimana in montagna e andare davvero sullo snowboard.” Lui tranquillissimamente mi ha guardato e mi ha detto: “ma no, là fa freddo”. Ecco, questa frase mi ha raggelato. Il punto è proprio questo: noi andiamo rapidamente verso l’abolizione del corpo infantile, i bambini sono sempre più senza corpo. I bambini sanno navigare su internet e non sanno allacciarsi le scarpe. L’età in cui sanno allacciarsi le scarpe è sempre più alta, arrivano ormai in quarta o quinta elementare senza saperlo fare; e ovviamente l’industria ha risolto il problema con le scarpe a strappo...
Faccio un altro esempio. Anche nella mia scuola alcuni bambini giocavano coi videogiochi, erano molto appassionati all’arte marziale, e c’era un gioco proprio di arti marziali; anche questo bello dal punto di vista della tecnica virtuale. Ora, la cosa più bella delle arti marziali è la connessione tra l’indubbia arte della difesa personale e l’arte dell’equilibrio. Infatti ci sono tecniche che valgono sia per l’arte marziale che per la danza. Alla radice c’è un incrocio molto interessante fra tutto ciò che rende il corpo attento, capace di reagire, di sentire, di vivere lo spazio in cui sta. Allora, vedendo questi bambini coi videogiochi, che fanno finta di far le arti marziali, mi è venuta una grande tristezza, perché perdono tutto. Senza il corpo in equilibrio, in movimento, l’arte marziale diventa solo violenza: assestare il colpo fatale al nemico. Questa è una perversione dell’immaginazione.
Che c’entrano questi due discorsi? Un po’ c’entrano perché paradossalmente noi consumiamo sempre di più e anche il bambino ormai è un consumatore, per cui viene aggredito fin dalla più tenera età. Dall’altra parte, c’è uno spreco totale delle energie del corpo, ormai in gran parte dimenticate.
Usiamo tantissime energie della natura, del pianeta e non sappiamo più che cosa sia l’energia del corpo.
Oggi i bambini che camminano sono un’assoluta minoranz ...[continua]

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