Federico Faloppa insegna linguistica all’Università di Reading e vive in Gran Bretagna da sedici anni.

Dopo oltre un anno dal referendum che ha sancito la volontà della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea, sono iniziati i negoziati...
Il 19 giugno sono iniziati i negoziati con l’Unione europea, che andranno avanti per almeno 18 mesi. Tuttavia la situazione, a distanza di un anno dal referendum, è ancora piuttosto nebulosa. Il primo dato è che esistono due schieramenti contrapposti che, ahimè, non trovano corrispondenza nei due schieramenti maggioritari in Parlamento. Uno è quello di Brexit, capitanato dal primo ministro, che vorrebbe una hard Brexit, cioè un’uscita ‘dura’, senza tante concessioni all’Unione europea; l’altro, invece, è quello di una larga fetta della popolazione britannica (che secondo i sondaggi oggi supera largamente il 50% dell’elettorato) che vorrebbe, se non addirittura tornare a votare su Brexit/Remain, almeno una soft Brexit.
Ebbene, questa larga percentuale di britannici non ha una rappresentanza politica precisa perché il Partito laburista, che pure prima delle elezioni generali dell’8 giugno si era espresso per un negoziato che garantisse i diritti ai cittadini europei, nelle ultime settimane di giugno, astenendosi sugli emendamenti contro la hard Brexit, ha dimostrato che tutto sommato la questione Brexit, per il partito è chiusa: quello che è stato votato un anno fa in qualche modo è legge e quindi non c’è spazio (almeno per il suo leader, Jeremy Corbyn) non soltanto per l’ipotesi di un nuovo referendum, ma neppure per una soft Brexit.
I nodi fondamentali a questo punto sono l’economia e la garanzia dei diritti. Il primo punto caldo è la permanenza (o meno) nel mercato unico, che è quello che caldeggiano molti deputati laburisti, per ragioni soprattutto economiche, perché, come sembrano ben sapere banche e grandi imprese, un’uscita dal mercato unico avrebbe effetti negativi immediati; l’altro punto caldo è la garanzia dei diritti per i cittadini europei che vivono e lavorano in Gran Bretagna.
Parliamo di circa tre milioni di persone.
I sondaggi ci dicono che su entrambi questi punti oggi gran parte dell’opinione pubblica vorrebbe tornare a esprimersi. Chi perché preoccupato per la tutela dei diritti e chi per ragioni puramente economiche perché si è capito già adesso, a negoziati appena iniziati, che comunque andrà, le ripercussioni economiche saranno consistenti.
A proposito di Brexit, le analisi economiche sono divergenti: alcuni dicono che non ci sarà stagnazione…
A giugno-luglio 2016 le previsioni non erano negative, anzi. L’ipotesi che inizialmente si era fatta strada in gran parte dei mezzi di comunicazione di massa (che in qualche modo sostenevano la posizione del governo) associava l’uscita dall’Unione europea con la possibilità di creare uno spazio economico con tassazioni favorevoli alla grande impresa. Un po’ quello che ha fatto l’Irlanda pur rimanendo all’interno del mercato dell’Unione europea. Non solo, dal punto di vista dei conservatori, questo avrebbe permesso anche la rinegoziazione di una serie di garanzie in termini di stato sociale e di diritto del lavoro.
Accanto alla paura di ripercussioni economiche (che negli ultimi mesi molti istituti di ricerca stanno accreditando), il Partito conservatore continua a sperare che l’uscita dall’Europa possa offrire l’opportunità per uno spazio di maggiore laissez-faire per le imprese, con tassazioni inferiori e una liberalizzazione più spinta. Una sorta di free trade global hub, una Singapore all’europea.
Comunque le elezioni dell’8 giugno non hanno dato una maggioranza politica a questa ipotesi. Inoltre, il trasferimento già in corso di alcune sedi operative di grandi banche a Francoforte o comunque nell’Europa continentale fanno presagire che Brexit, almeno a breve termine, avrà sicuramente un impatto negativo sull’economia britannica, se non altro perché molti posti di lavoro -soprattutto quelli in ambito finanziario- andranno altrove.
La finanza infatti, che contribuisce per circa l’8% al prodotto interno lordo, non significa solo grandi banche, ma anche un indotto che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone. Questo mondo subirà dei contraccolpi da Brexit. Non solo: visto che la libera circolazione non sarà più garantita, anche settori come l’educazione e il turismo verranno colpiti perché diminuiranno le persone intenzionate a studiare o a trascorrere il loro t ...[continua]

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