Roberto D’Alessandro è professore di Neurologia, attualmente responsabile del Servizio di epidemiologia e biostatistica dell’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. Ė membro del Tavolo delle Scienze Neurologiche dell’Agenzia Italiana del Farmaco e, in qualità di esperto, dell’Agenzia Europea dei Farmaci.

Per cominciare, potrebbe farci un inquadramento generale della malattia chiamata sclerosi multipla?
La sclerosi multipla è una malattia neurologica, quasi sicuramente su base autoimmunitaria, di tipo infiammatorio, che colpisce prevalentemente le donne, con un rapporto di circa due a uno fra femmine e maschi. Insorge preferibilmente dai venti ai quarant’anni, anche se si registrano molti casi in età inferiore e molti casi in età superiore. La frequenza della malattia è variabile nelle diverse aree geografiche. L’Italia è considerata un’area geografica a rischio medio, tuttavia si osservano aree, come ad esempio la Sardegna e alcune zone del nord Italia, dove la malattia presenta una frequenza più alta, simile a quella delle aree del nord Europa. In Europa la frequenza della malattia complessivamente va da 80 a 120 casi ogni 100 mila abitanti. Quindi, in assoluto, non è una malattia molto frequente, però è una malattia che colpisce persone giovani, in età lavorativa, è una malattia che dura tutta la vita e quindi ha un impatto notevole dal punto di vista delle necessità assistenziali di questi pazienti. Riguardo alla prognosi, cioè all’evoluzione della malattia, che in questo caso, essendo una malattia che dura tutta la vita, viene desunta da dati storici risultanti dallo studio dei pazienti prolungato per decenni, possiamo in via divulgativa dire che un terzo dei pazienti, dopo vent’anni, presenta una grave disabilità, che vuol dire incapacità di camminare, bisogno di assistenza, perché allettati o su sedia a rotelle; circa un terzo ha una disabilità intermedia, cioè con limitazioni sostanziali nella vita quotidiana ma ancora in grado, in qualche modo, di deambulare; infine, un altro terzo di pazienti con una disabilità più moderata o lieve.
Allora è importante sottolineare che l’idea che la sclerosi multipla porti invariabilmente all’incapacità di deambulare e quindi alla sedia a rotelle, come suggerito da una campagna pubblicitaria di qualche tempo fa per raccogliere fondi, è sbagliata. Una quota di casi decorre con una forma cosiddetta benigna che in qualche modo non porta mai a danni neurologici davvero gravi.
Ecco, questo è interessante. Perché invece noi non abbiamo questa percezione?
Sì, non c’è questa percezione. Ma queste conoscenze sull’evoluzione della malattia sono legate al fatto che molti casi con decorso benigno, che presentano quindi sintomi molto modesti, una volta non venivano diagnosticati. Adesso noi possiamo diagnosticare molto precocemente dei casi di malattia grazie alla risonanza magnetica. Quindi i vecchi studi sui pazienti che erano fatti in epoca precedente alla risonanza magnetica davano aspetti prognostici più negativi perché i casi benigni sfuggivano.
Lei ha detto che questa malattia quasi sicuramente ha un’eziologia di tipo autoimmune.
Diciamo che ci sono molte prove indirette che la malattia sia autoimmune. Perché i farmaci che funzionano sono farmaci che agiscono in qualche modo sul sistema immunitario. Quindi sicuramente c’è un aspetto autoimmune. La causa prima della malattia è una reazione del sistema immunitario contro la guaina mielinica del cervello. A questo punto devo fare una premessa: bisogna che noi parliamo di una cosa che si chiama barriera emato-encefalica. Vale a dire: normalmente il cervello è isolato dal sistema immunitario attraverso questa barriera che fa sì che il sangue non venga mai a contatto con il cervello.
Diciamo meglio: questa barriera fa sì che le cellule del sistema immunitario che circolano nel sangue non vengano a contatto con la guaina mielinica. A un certo punto questa cosa nella sclerosi multipla non succede più. Quindi le cellule del sistema immunitario vengono a contatto con la guaina mielinica. Purtroppo non sappiamo quale sia il meccanismo per cui questo si verifica, se lo conoscessimo potremmo anche sapere la causa della malattia.
L’impressione che ci sia un aumento dell’incidenza della malattia, cioè un aumento di nuovi casi, è reale?
La risposta è molto difficile. Sicuramente c’è un aumento delle diagnosi, che però potrebbe essere legato a un maggior numero di casi diagnosticati, casi che precedenteme ...[continua]

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