Tommaso Speroni, 26 anni, laureato in Scienze politiche e relazioni internazionali, insieme ad alcuni amici ha fondato "Treedom”, società che finanzia progetti di riforestazione in giro per il mondo.

Dopo il liceo mi ero iscritto all’università. Il nonno premeva perché facessi giurisprudenza, mio padre invece voleva studiassi economia, così scelsi scienze politiche, una facoltà che mi dava la possibilità di studiare un po’ di tutto.
In generale non mi sentivo soddisfatto della mia scelta e, mosso dalla passione per progetti di sviluppo agricolo, a metà del mio percorso di studi avevo anche pensato di abbandonare la facoltà che avevo scelto per iscrivermi ad agraria. L’insoddisfazione era mossa dal fatto che l’università italiana dà molto spazio alla teoria senza formarti sulla pratica: esci dall’università che in teoria sai tutto ma in pratica… non sai fare niente! In realtà il problema non era tanto nella facoltà ma nel sistema in generale; avevo voglia di iniziare a fare qualcosa di reale e mi ero stufato di restare sui libri. Ancora prima di finire il corso triennale -nel settembre 2009- mi sono trasferito da Roma a Firenze per cominciare un tirocinio in una società che si occupava di produzione di energia rinnovabile da biocarburanti; sono entrato così nel mondo del lavoro, mosso dalla passione di fare progetti connessi all’agricoltura in paesi emergenti.
Sono anche stato fortunato perché si trattava di una società giovane e dinamica dove il tirocinio non consisteva, come succede spesso nelle grandi imprese, nel fare fotocopie e fax, ma nello svolgere incarichi anche importanti.
Inizialmente mi sono occupato di un portale web che promuoveva la sostenibilità di filiere di idrocarburi in paesi emergenti. Ho così cominciato a partecipare a conferenze del settore e a crearmi dei contatti. Mi sentivo valorizzato per quello che facevo: ero anche contento di fare straordinari o di lavorare più del dovuto, sentivo che stavo investendo del tempo su di me.
Spesso si generalizza dicendo che i biocarburanti affamano il mondo o, al contrario, che sono una panacea in grado di sostituire il petrolio. La realtà sta nel mezzo: vanno analizzate le ricadute ambientali, sociali ed economiche di ogni progetto in un contesto specifico. Questo era il mio compito quando mi occupavo del portale durante il mio stage.
Allo stesso tempo stavo iniziando a comprendere la potenzialità di internet e dei social network nella promozione della tracciabilità e quindi della trasparenza di un settore.

Dopo un viaggio di lavoro in Burkina Faso e Benin avevo deciso di sviluppare come tesi di laurea un modello innovativo di elettrificazione per gli ospedali in zone rurali dell’Africa: spesso queste strutture sono lontane dalla rete elettrica; hanno gruppi elettrogeni che girano a gasolio, ma l’approvvigionamento non è garantito perché il diesel arriva da lontano con costi logistici molto elevati. Il progetto prevedeva l’elettrificazione dell’ospedale di Tanguetà in Benin coinvolgendo i contadini locali nella coltivazione della jatropha, una pianta che cresce su terreni marginali: il seme sarebbe stato poi acquistato dall’ospedale, spremuto e bruciato in appositi generatori al posto del diesel.
Il modello era sostenibile perché offriva lavoro alle popolazioni adiacenti, assicurava un accesso all’energia per l’ospedale e promuoveva l’elettrificazione rurale grazie alla produzione di olio extra con cui venivano alimentati generatori nei villaggi limitrofi. Il modello è stato preso in considerazione e apprezzato anche da Emergency, che poi non ha potuto adottarlo per mancanza di finanziamenti.

Nella società in cui lavoravamo, eravamo un ­team molto affiatato; poi la crisi si è fatta sentire e la società ha cominciato ad avere problemi finanziari. Con un altro collega nonché amico, Federico Garcea, abbiamo capito che tirava una brutta aria. Finito l’orario di lavoro restavamo insieme e, tra una birra e l’altra, ci dilungavamo a fantasticare su una nostra possibile attività.
Ci eravamo affacciati al settore del carbonio. Questo settore, nato con il protocollo di Kyoto, aveva stabilito un mercato di compravendita di crediti di emissione per tutti quei soggetti vincolati per legge a ridurre le proprie emissioni. Accanto a questo settore si stava sviluppando un mercato (detto "volontario”) per tutti quei soggetti che, pur non vincolati per legge a ridurre le emissioni, erano interessati a farlo per responsabilità social ...[continua]

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