Karl-Ludwig Schibel, insegna Ecologia Sociale all’Università di Francoforte. Autore di diversi saggi su questo argomento, è anche coordinatore della Fiera delle Utopie Concrete di Città di Castello.

L’ecologia sociale si differenzia dalle altre tendenze ecologiste soprattutto perché, a partire dal suo iniziatore, Murray Bookchin, rovescia il paradigma interpretativo del rapporto uomo-natura...
Bookchin, cercando di capire da dove venga l’idea di poter dominare la natura, rovescia il classico paradigma interpretativo che vede il dominio dell’uomo sull’uomo derivare da quello dell’uomo sulla natura. In realtà è dal più antico dominio dell’uomo sull’uomo -sviluppatosi con la formazione delle gerarchie, poi delle classi, poi dello stato- che nasce l’idea sbagliata di poter dominare la natura. Un’idea che esiste da molti secoli, ma che oggi trova strumenti tecnici tali che dalla sua operatività proviene una qualità diversa nella possibilità di distruggere la base naturale dell’uomo. Per Bookchin, in sostanza, il pericolo non è che l’uomo stia distruggendo la “natura”, che la metta in pericolo; la “natura” sta benissimo, mentre quello che l’uomo sta facendo è la distruzione della base naturale necessaria per le forme complesse di vita a cui l’uomo stesso appartiene.
Bookchin, analizzando il modo in cui la società capitalista tratta l’ambiente e la capacità umana di intervenire in modo sempre più esteso e profondo sulla natura (intervento che trova nell’idea di “fattibilità” il suo perno, la coscienza criminale della mente tecnocratica), si chiede se tutto ciò veramente significhi che siamo in grado di dominare la natura. A questa domanda risponde che questo dominio non sarà mai possibile, non tanto per l’insufficienza delle conoscenze scientifiche, ma per ragioni sistematiche, visto che non saremo mai in grado di controllare tutti gli effetti dei nostri interventi.
Ma, contrariamente ai teorici dell’“ecologia profonda” che vorrebbero che l’uomo si astenesse il più possibile dall’intervento sui processi naturali e per questa via arrivano ad accettare, ad esempio, le carestie o l’Aids come forme di autoregolazione dei processi naturali, Bookchin sostiene che non abbiamo scelta: per vivere l’uomo deve necessariamente intervenire nei processi naturali. Anzi, la capacità di modellare il proprio ambiente è un attributo specifico dell’uomo. Solo che tale intervento deve avvenire in un rapporto co-produttivo con la natura. Rispetto all’“ecologia profonda”, che negli Stati Uniti è molto diffusa, Bookchin, oltre a mettere in luce il disprezzo per l’uomo che ne è alla base, sottolinea anche la vicinanza dei deep ecologists a una politica autoritaria, elitaria, antidemocratica. Per l’“ecologia profonda” americana quella autoritaria è una deriva certamente possibile. Argomenti come quello di non dare aiuti ai paesi poveri -perché se oggi sfamiamo i bambini di otto-nove anni, fra altri tre-quattro anni anche loro avranno dei bambini che sicuramente moriranno, per cui è meglio lasciarli morire e così si ristabilisce l’equilibrio naturale- o come vedere con favore la chiusura della frontiera con il Messico, perché la capacità di sostenimento della California non permetterebbe un’ulteriore emigrazione da parte dei messicani, sono evidentemente molto vicini alle tesi di un razzista come Pat Buchanan, che vuole costruire un muro fra la California e il Messico. Nel suo ultimo libro, Reinchanting Humanity, Bookchin elabora ed approfondisce ulteriormente un tema che si trova in tutta la sua opera, quello della differenza fra l’uomo e il resto della vita cercando di spiegare che la vita ha una storia, che questa storia ha una sua direzione, senza per questo essere una storia teleologica, senza alternative. E l’uomo è il prodotto più evoluto, più sviluppato, di questa storia della vita, perché è in grado di riflettere su questo processo, perché ha coscienza di se stesso e di quello che sta facendo, perché può intervenire coscientemente sulla natura.
Soprattutto negli ultimi anni, in cui la sua opposizione all’“ecologia profonda”, alla romanticizzazione della wilderness, al neo-malthusianesimo si è sempre più radicalizzata, Bookchin insiste molto sulla specificità dell’uomo e sulla responsabilità particolare che l’uomo ha nel suo rapporto con la natura, proprio perché non può non intervenire.
Già ne L’ecologia della libertà si metteva in guardia contro la romanticizzazione, l’idealizzazione, delle culture organiche ...[continua]

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