Madina Fabbretto, istriana, nata e vissuta a Padova, fa ora la giornalista a Roma.

Allora ho sempre fatto quel che dovevo fare, volantinare, parlare in assemblea, ma avevo paura di essere picchiata. Il primo volantinaggio è stato abbastanza comico perché, avendo parlato a questa assemblea, mi avevano detto che sarei stato il loro baluardo nella succursale del liceo dove studiavo, mi affidarono un pacco di volantini. Dissi che era una cosa che non avevo mai fatto, mi risposero di non preoccuparmi: “ti mandiamo noi uno che ti protegge stando vicino a te”. Ci siamo trovati alla fermata dell’autobus e questo era un ragazzino minuscolo, piccolissimo, e ricordo che pensai che se era quello a dovermi proteggere, eravamo finiti. Poi non successe niente e distribuii i miei volantini. Altre volte, invece, mentre stavo volantinando davanti alla mia succursale che stava vicino ad una scuola di sinistra, il volantinaggio non arrivava al quindicesimo volantino, tutto andava per aria e spesso finiva a botte. E quando c’è una scazzottata, beh succede, non era gran cosa, solo che trovarsi sola, circondata da quindici persone... Ma personalmente non ho mai subito aggressioni gravi perché anche a sinistra non si picchiavano le donne, qualche calcione, ma volante... Però, a ripensarci ora, si creavano situazioni molto brutte e infatti da lì poi si sarebbe passati ai coltelli, alle pistole. Ora penso che quello sia stato il banco di prova di un certo modo di fare: il fatto di prendersela con un fascista, il passo dopo potevi prendertela con un poliziotto, con un magistrato. E lo stesso a destra.

Quel che mi ha spinto ad avvicinarmi ai gruppi di destra era il fatto che nella mia scuola, il liceo scientifico Nievo, come, del resto in tutta Padova, quelli di destra erano “quelli con cui non si doveva parlare”, coi fascisti non si parla. E allora io volevo stare con quelli con cui non si parla, con gli appestati, gli intoccabili, e trovavo che questo fosse molto romantico. L’idea di sentirsi un po’ assediati era un collante molto forte, essere guardati in un certo modo, essere considerati degli appestati, credo ci unisse molto.
La prima volta che parlai in un’assemblea suscitai un grande scalpore perché non si era mai vista una ragazzina di destra, piccola e di prima, che parlasse ad un’assemblea generale. Erano tutti esterrefatti perché, fra l’altro, l’assemblea era stata indetta da quelli di sinistra. Era il ’74, anni in cui Padova era una città molto calda anche perché, essendo una città piccola, ci si conosce tutti. Quando camminavo per strada pensavo sempre di vedere qualcuno che mi additasse ad altri, per anni quando passavo in certe zone mi guardavo alle spalle perché avevo paura. Sì, a Padova era pericoloso, era una città naturalmente violenta e questa violenza era nell’aria ed è esplosa poi in modo tragico, ma io ho sempre cercato di tenermi da parte da questo aspetto perché non amavo l’aspetto militaresco, non l’ho mai amato e forse non era affatto uno degli aspetti più importanti. La politica è stata la mia vita per anni, ma non ho mai fatto cose che avessero a che fare con la violenza. Certo, adesso si ricorda quel periodo solo per quello, per gli aspetti negativi, tutti quegli anni sono ormai solo “anni di piombo”. E certo, a distanza di tempo, penso di aver rischiato più di quanto non mi fossi resa conto allora, nel senso che allora eravamo presi dal sacro fuoco...

Poi io sono istriana e questo mi ha influenzato tantissimo, ma non tanto perché gli istriani fossero fascisti come recita il luogo comune, ma perché essere di una famiglia istriana è qualcosa di particolare. Ti senti orgogliosa della tua storia e c’è anche un po’ l’orgoglio di essere diverso dagli altri. Ho sempre pensato di dover fare il contrario di quel che fanno tutti.
Certo, mio padre era fascista, ma anticonformista, aveva fatto il partigiano e nelle discussioni vantava sempre la sua decorazione e fu dopo la guerra che divenne, come pure mia madre, un convinto anticomunista perché l’esperienza coi titini era stata allucinante. Già mio zio, però, è rimasto sempre socialista e ancora oggi si batte per la causa istriana. Se gli istriani se ne sono andati non è perché fossero fascisti ma perché erano italiani ed avevano paura di essere uccisi, nelle foibe non ci sono finiti i fascisti, ci sono finiti gli italiani. Mia madre è scappata che aveva 12 anni e non poteva certo essere fascista, mio nonno non era mai stato fascista, e l’I ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!