Questa intervista è stata realizzata da Walter Minella della rivista Ulisse, quadrimestrale stampato a Pavia, e apparirà, nella versione integrale, sul numero che sarà in libreria in questi giorni. Ringraziamo gli amici di Ulisse dell’autorizzazione alla pubblicazione.

Franco Castellazzi è stato fino all’ottobre del ’91 il presidente della Lega Nord: una sorta di numero 2 di Bossi, da cui si è staccato clamorosamente. Pensiamo che la sua testimonianza possa essere utile, in una prospettiva storica, per ricostruire alcune caratteristiche della nascita della Lega. Naturalmente non presentiamo quella di Castellazzi come la verità, ma certo come un contributo prezioso alla ricostruzione dell’ambiente psicologico-sociale in cui è maturato il successo della Lega e del suo leader carismatico Bossi. L’intervista ha avuto luogo il 20 ottobre ’93.

Quali sono, a suo parere, le ragioni del successo della Lega…
Le ragioni sono, come sempre, molte: non c’è mai una ragione sola per fenomeni di questa portata. La Lega parte sostanzialmente da zero nel 1987/88 e conquista un consenso di massa che la porta a percentuali di maggioranza relativa (che diventa, poi, ovviamente, assoluta nei ballottaggi) in quasi tutte le città e le province lombarde e nella maggioranza delle città e delle province della Padania. Le ragioni sono, quindi, complesse. Mi sembra, però, che le ali su cui vola la Lega siano "la questione morale" da una parte e, dall’altra, quella "fiscale". Non ci sono dubbi: la Lega a un certo punto appare a milioni di cittadini, nelle regioni del Nord, l’unica forza politica sicuramente pulita in quanto inesistente negli anni della grande abbuffata. La Lega è insospettabile. La gente ha una così grande voglia di pulizia che non vuole correre rischi: vuole una verginità assoluta, che non abbia bisogno di prove. L’opinione pubblica sente, a torto o a ragione, che il marcio ha coinvolto tutto e tutti e rifiuta, perciò, l’intero sistema dei partiti, sia di governo, sia di opposizione. L’ira della gente si è riversata nella Lega. Da qui, la sua esplosione elettorale.
C’é poi l’altra causa che già aveva fatto sentire il suo peso prima di Tangentopoli, alle elezioni regionali del ’90: la rivolta fiscale. Di fronte ad un numero incredibile di imposte, tasse e balzelli di ogni genere (in Italia se ne contano poco meno di 200) i ceti del lavoro autonomo, ma non solo quelli, che si sono sentiti, per anni, presi in giro, se non addirittura criminalizzati (e in questo ci sono, a mio giudizio, errori gravi della sinistra), si ribellano e trovano per la prima volta il veicolo per farsi sentire. Prima del ’92, la Lega dà voce a ceti che non avevano mai avuto una voce vera: queste categorie sono rappresentate, con i loro vertici e le loro burocrazie, da associazioni che in larga misura hanno fatto capo alla DC, al PSI, ma anche, in alcuni casi, al PDS. Ma questi vertici associativi non corrispondono più ai voleri e ai problemi degli associati, ma sono solo referenti dei partiti che li hanno emanati. Da qui uno scollamento che si è manifestato, pesantemente, nel voto. D’altra parte, come poteva un sistema politico uscire indenne dopo aver prodotto un fisco ingiusto e distratto, sadico e persecutore, incapace e feudale, sempre esoso e spesso ladro, azzeccagarbugli quanto basta per imbrogliare i "deboli" e per offrire ai "forti" mille cavilli per tranquille elusioni ed evasioni?

Così, è arrivata la Lega. Pane e tasse sono sempre stati in tutti i tempi i motori delle rivoluzioni.
In questo quadro si colloca anche lo stile politico della Lega?
Naturalmente. In questo quadro di disagio -che la recessione economica fa aumentare- si inserisce la Lega, cioè un movimento che parla l’esatto contrario del politichese, si fa capire sin troppo bene, è immediata, non lascia dubbi su quello che dice, vive largamente anche di parolacce e di insulti, e quindi assomiglia alla vita quotidiana, che è fatta anche di queste cose. Questo, paradossalmente, le dà una forte spinta, perché la fa sentire sincera alla gente che l’appoggia con entusiasmo, perché ne ricava la sensazione di un movimento bambino, che si porta dietro tutte le sue ingenuità, ma che, appunto per questo, diventa, in un certo senso, affidabile, contro "quelli là" che sono fin troppo furbi, fin troppo preparati -ma che mettono tutte queste loro "doti" al servizio di loro stessi, del furto.
Vorrei passare, da questa sua riflessione attuale, alla ricostruzione della sua esperienza personal ...[continua]

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