Cari amici,
qui in centro, a pochi passi da casa mia, c’è un bar color giallo tuorlo. È specializzato nella vendita di biscotti semplici e di un ottimo caffè importato dall’America centrale. Inoltre produce un gustoso assortimento di tè verdi. Coloro che sono a conoscenza di questo gioiello di bar passano parola ad altri, perché vogliamo davvero che sopravviva. È ospitato nel meno promettente dei posti: troppo lontano dal centro e troppo vicino a casa. Gli impavidi clienti trangugiano i caffè fuori dal bar seduti in strette file di sedie gialle, cercando di ignorare il traffico che va accumulandosi al semaforo appena in fondo alla strada. Il bar si trova all’interno di un’isola pedonale circondata da rotonde e strade trafficate, dirimpetto a una cattedrale del XIX secolo. I passanti sono tanti, ma la maggior parte di loro si muove su quattro ruote.
Ciò che distingue questo caffè e fa crescere la voglia di andarci e conoscere il proprietario, José -un profugo del Guatemala, uno che ce l’ha fatta-, è in parte la consapevolezza che qualsiasi altra attività sorta nei paraggi è fallita, ma anche il fatto che questo bar offre qualcosa di diverso. Ogni giorno, una lavagnetta strategicamente posizionata all’inizio di un ponte stradale che distribuisce i passeggeri su sei corsie di traffico, riporta un nuovo invito. José è un maestro degli aforismi ottimisti: "La speranza è tutto!”, o "Se non hai un sogno, come faranno i tuoi sogni a diventare realtà?”, o "Un sorriso è il più bel regalo che possiate fare!”. Soltanto di recente si leggono aforismi più brevi: "Date inizio a qualcosa”. Vorrei che la cosa fosse dovuta al fatto che José è più impegnato e ha meno tempo libero, ma temo abbia meno cose ottimistiche da dire.

Una cliente del bar, che beveva del tè dopo una camminata veloce, di prima mattina, in un parco nei paraggi (se solo il bar di José si trovasse lì), ha detto che il mondo non era mai stato così; cosa diamine stava succedendo?
Era ed è ancora un periodo emotivamente intenso, in cui il tran tran assume le tinte di ciò che sta avvenendo in politica. La cliente del bar si riferiva alla vigilia del voto per l’indipendenza della Scozia, quando la gente da ambo le parti del confine si trovava davvero in uno stato di stupito dolore di fronte alla prospettiva della perdita dell’unione. L’unione è ancora intatta, ma niente sarà più com’era, e la strada verso la "devoluzione massima” in Scozia e nel Galles ha messo in luce le crepe nelle migliori porcellane d’Inghilterra. Le notizie sul virus Ebola che si diffonde incontrollato, le tattiche assassine e medievali dello stato islamico, che includono la violenza sessuale e il traffico di ragazzine e donne, le ragazze nigeriane scomparse, ancora nelle mani di Boko Haram, e la terribile scia dei bombardamenti sproporzionati di Gaza da parte di Israele. "Cosa sta succedendo?”, ha chiesto. "Sembra che il mondo sia impazzito e che nessuno dei nostri leader sappia cosa fare”. E sulla lavagnetta l’aforisma di José diceva: "Fate qualcosa!”.

L’invito di José riflette una certa esasperazione maturata d’un tratto nei confronti dei nostri leader politici. Il referendum per la Scozia ha risvegliato l’attenzione della gente per la politica. Il dibattito svoltosi in Scozia -un esame di coscienza, questioni profonde, urgenti, che fanno pensare- ha avuto poche infiltrazioni nel resto della Gran Bretagna. Era tardi quando i leader politici si sono precipitati a raccogliere la sfida lanciata da Alex Salmond, il capo del Partito nazionalista scozzese e primo ministro di Scozia, ma alla fine l’hanno fatto, e il loro operato di leader politici è stato sottoposto a scrutinio, e lo è tuttora.
David Cameron è in grado di lasciarsi andare a sfoghi emotivi in pubblico; l’ha fatto. Ed Miliband non ne è in grado, e Alistair Darling, che ha guidato la campagna del No, è risultato altrettanto distaccato; invece Gordon Brown ha salvato la campagna guidata dai laburisti grazie alla sua passione e alla sua capacità di dare alle parole un peso in grado di sfondare le barricate. Ed Miliband non è capace di accendere l’opinione pubblica: non ha l’aspetto né il tono di un primo ministro, e poco importa se ragiona come tale.

Tutto questo mi ha portata a chiedermi come se la sarebbero cavata con i media i leader di altri tempi. Come sarebbero andate le elezioni britanniche per Abraham Lincoln, il sedicesimo e più grande presidente degli Stati Uniti, che soffriva di depressione clinic ...[continua]

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