In Cattaneo l’Italia ebbe qualche cosa di più, molto di più di un economista o di uno scrittore d’agricoltura, come si compiacque di qualificarlo De Ruggiero. Ebbe un sociologo e uno storico, che non vacilla al confronto dei Guizot, Carlyle, Thierry, Quinet, Renan. Ebbe una mente aperta a tutti i problemi europei, ebbe uno spirito positivo e lucido, che, non attardandosi dietro splendide chimere di ideali primati, rivelò agl’italiani le robuste forze dell’industria e dei traffici e dissigillò le loro menti all’idea che la potenza e la grandezza delle nazioni si misuri nei cantieri, nelle fabbriche, nei libri di carico e di scarico dei piroscafi e nelle registrazioni portuali. Egli fu certo l’italiano meno pittoresco, meno sgargiante, più alieno dal tenebroso emotivo che seduceva Stendhal; il più renitente a congiure melodrammatiche, a spedizioni in istile di balletto del genere di quella tentata da Mazzini sulla Savoia, un realista avveduto il quale sperava il riscatto del Lombardo-Veneto piuttosto da un sistema di franchigie progressive e dalla decomposizione interna dell’impero austro-ungarico anziché da guerre e da cambiamenti dinastici.
Ideale politico permanente, verso il quale si sforzò indirizzare gli sguardi degli italiani fu, per Cattaneo, l’Inghilterra. Degl’inglesi ammirava la tenacia, l’indomito spirito d’intrapresa, il rispetto al merito, la concezione economica dei fatti politici, la mancanza di pregiudiziali di razza e di sangue.
Il saggio sulle Interdizioni israelitiche, pubblicato nel 1843, è una splendida illustrazione di quel liberismo economico che fu sempre la sua stella polare. Rievocando e stigmatizzando le angherie, le restrizioni, gli arbitri legislativi a cui le comunità ebraiche secolarmente soggiacquero in Isvizzera, in Polonia, in Ungheria, in Russia, in certi Stati italiani, Cattaneo vuole confermare il canone secondo il quale l’oppressione giuridica si converte fatalmente in disordine economico. Lo scrittore, che in un saggio su L’economia nazionale di Federico List (1842) aveva sfatato con mirabile anticipazione, le illusioni autarchiche degli ultimi decenni, combattuto come deleterio e utopistico il sistema del blocco continentale di Napoleone, smascherato la chimera d’industrie e manifatture da piantarsi al solo scopo d’impedire l’invasione dei prodotti stranieri, credeva di detenere nella libertà economica il segreto infallibile del benessere sociale. Grande e tenace ammiratore dell’Inghilterra, Cattaneo non si stancava di segnalare nel libero commercio e nel principio delle "grandi associazioni” la base della potenza inglese. Dunque potenza statale, centralismo dispotico, compressione economica formavano per lui i nefasti congegni di quel principio "Chinese” dell’assolutismo o "Colbertismo” a cui egli contrapponeva il "principio greco” delle "libere Associazioni” che vedeva trionfare in America e in Inghilterra. Mentre nel paesi anglossasoni, lo Stato s’impiccia solo di ciò che il privato non può intraprendere, l’assolutismo centralizzatore alla Luigi XIV od alla Napoleone stende la mano sull’ultimo casolare del regno o sull’ultima capanna delle colonie. L’errore economico si tramuta, infallibilmente, in errore politico.
Tutto l’apparato vessatorio medievale, tutta la sovrapposizione di divieti, giurisdizioni, confische, esclusioni, contrassegni, ghetti, progroms non fu, agli occhi di Cattaneo che allucinata demenza e, soprattutto pietosa illusione. Il sadismo dei dominatori non servì che a cementare la potenza economica degli asserviti. Attraverso i berretti gialli e le estromissioni dalle Università e dalle professioni liberali, il divieto della possidenza prediale, la proibizione di ogni lusso etc., le legislazioni arbitrarie raggiunsero il chimerico risultato di complementare gli Israeliti.
"Così tutta la casta israelita, scevra di pensieri disinteressati, scevra di occupazioni improduttive, unicamente e assiduamente per tutta la vita tesoreggiava. Adunque l’esclusione dagli studi letterari e cavallereschi e ameni era una spinta sussidiaria che tendeva ad accrescere la loro opulenza... Qui nasce un forte dubbio, se quei popoli che hanno voluto riservare per sé soli il possesso delle terre e relegare gl’Israeliti alla sola proprietà mobile, abbiano scelto l’ottima parte o non piuttosto la peggiore...”.
Le vincolazioni dei feudi producevano nei loro detentori scarsezza di capitali e "quanto più le popolazioni erano povere, tanto più i capitali che sono ...[continua]

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