"Chiami Uber” mi dice l’unica persona che incontro nell’area taxi che balbetta qualche parola di inglese. L’altro che gli sta a fianco, però, si impietosisce e chiede al conoscente seduto sull’auto poco a lato se può accompagnarmi. "Hotel Lviv” gli dico un po’ disorientato e questo mi carica nell’oscurità trasportandomi fino alla meta a ridosso del centro storico dove appena sceso con il bagaglio in mano assisto ad una rissa con spintoni, scazzottamenti, urla e schiamazzi fra l’antiporta e la porta di ingresso. "Forse ho sbagliato hotel”, penso, visto anche l’aspetto un po’ equivoco del locale. Mi metto al riparo e controllo recuperando velocemente la prenotazione nello zaino. In effetti dovevo andare da tutt’altra parte ma ho confuso il nome ucraino della città, Lviv appunto, con quello latino, Leopolis, che denomina l’hotel dove mi attende la camera riservata qualche giorno prima in agenzia a Bruxelles. Lviv per gli ucraini, Lvov per polacchi e russi, Leopolis per i latini, Lemberg per i tedeschi: tanti sono passati di qui e tutti hanno lasciato un segno indelebile. Chiedo la direzione a due ragazzi che, dopo avere controllato l’indirizzo con google sul cellulare, mi avviano verso il centro storico che si schiude d’incanto nel deserto della notte.  Sono pochissimi i locali ancora aperti e gli ultimi clienti sono tutti alticci, ancora in grado, però, di rispondere alle mie richieste di informazione. I vicoli lastricati di pietra nella penombra della scarna illuminazione tra i palazzi d’epoca offrono scorci di indubbio fascino. La città dorme e respira. La porta dell’hotel è ancora aperta: mi aspetta, finalmente, un letto con la busta del programma aggiornato delle riunioni per i giorni seguenti.
"Il 42% dell’export ucraino prende la direzione dell’Unione europea”, sottolinea Irina Gerashchenko, vice-presidente della Verhovna Rada, snocciolando i dati più recenti all’apertura dei lavori della conferenza interparlamentare. Dall’entrata in vigore dell’area di libero scambio con l’Ue nel 2014, l’economia dell’ex repubblica socialista si è sempre più integrata in quella europea allentando nel contempo i tradizionali legami che la trattenevano in quella della zona post sovietica. Sono soprattutto acciaio, prodotti chimici e macchinari a muoversi verso occidente. Dopo il crollo dell’economia nel 2014, che ha fatto seguito all’annessione russa della Crimea e allo scoppio della crisi nel Donbass, la situazione sta gradualmente e sensibilmente migliorando. 
La produzione industriale negli ultimi anni è tornata a crescere così come quella agricola, anche se le statistiche scontano il fatto che una cospicua parte del territorio non è più sotto il controllo delle autorità di Kiev. A questo proposito, pur mostrando un discreto ottimismo sulle prospettive di crescita del paese, la Gerashchenko non può esimersi dal denunciare il mancato rispetto degli accordi di Minsk da parte di Mosca, che obbliga l’Ucraina a svenarsi per convogliare parte delle risorse nel settore della difesa e al sostegno umanitario del milione e mezzo di sfollati dalle regioni orientali dove le violazioni del cessate il fuoco continuano su base quotidiana. La leadership ucraina ormai guarda stabilmente a occidente e in particolare a Bruxelles, che negli anni recenti non si è mai sottratta alle richieste che giungono da Kiev. La vice-presidente del parlamento ucraino coglie l’occasione, a questo riguardo, per ringraziare l’Unione per il quarto programma di assistenza macro-finanziaria cha dalla fine del 2018 porterà un miliardo di euro in prestiti agevolati nelle casse dello stato con l’obiettivo di stabilizzare i conti e risanare il bilancio. Quello che l’Unione non è in grado di fornire all’Ucraina in termini di sicurezza è compensato da un flusso generoso di aiuti sia sul piano economico, che su quello tecnico e politico. Va evidenziato, comunque, che il sostegno europeo non è mai gratuito, ma è condizionato ad un percorso di riforme che l’ex repubblica sovietica sta progressivamente adottando, modernizzando le strutture e le consuetudini di uno stato rimasto sostanzialmente fermo ai tempi dell’Urss. 
Il processo di decentramento amministrativo sta cominciando a dare i suoi frutti obbligando i governi locali a rendere conto in modo trasparente sull’uso dei soldi pubblici; il settore giudiziario non è più alla mercé del potere politico e la lotta alla corruzione fa traballare i poteri forti abituati ad agire dietro le qui ...[continua]

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