Gli orrori della guerra in corso in Ucraina hanno fatto rapidamente dimenticare all’opinione pubblica europea quelli della guerra precedente. Eppure è trascorso solo un anno e mezzo dal conflitto che per 44 giorni ha insanguinato le vallate del Caucaso meridionale dove l’esercito armeno e quello azero si sono scontrati in accaniti combattimenti che hanno lasciato sul campo quasi settemila vittime. Oggetto del contendere era il Nagorno (Alto) Karabakh, una regione abitata in larga parte da una popolazione di etnia armena che in base al diritto internazionale appartiene all’Azerbaigian. L’accordo di cessate il fuoco del 1994 aveva messo fine alla prima guerra fra i due paesi garantendo di fatto l’indipendenza della piccola regione, grande quanto l’Umbria. Con questo accordo gli armeni avevano mantenuto il controllo anche delle sette province a stragrande maggioranza azera che circondano il territorio dell’Alto Karabakh. Il conflitto dell’ottobre del 2020 ha ribaltato la situazione. Oggi il governo di Baku ha ripreso possesso delle province precedentemente occupate dalle forze armene mentre un contingente militare russo presidia il Nagorno Karabakh a protezione della comunità armena che nel frattempo, a causa della guerra, si è dimezzata riducendosi a poco più di 30.000 persone. Lo status della regione, però, rimane sospeso. È una delle tante questioni che le due parti devono negoziare per giungere a un trattato di pace complessivo.
Approfitto del mio soggiorno a Baku per recarmi in visita nelle zone dei combattimenti a est del paese. Cinque ore di autobus tutto sommato agevoli lungo l’autostrada che, dopo avere costeggiato il Caspio, si divarica in direzione settentrionale verso l’area che fino a pochi mesi fa per gli azeri era off limits. Non si può non notare, ed è una piacevole sorpresa, l’intensa opera di rimboschimento portata avanti dalle autorità. Su entrambi i lati della strada spiccano ampie fasce di vegetazione arborea appena messa a dimora. Sono i boschi di domani su un terreno che, forse a causa del vento salato del Caspio, rimane desolatamente incolto. Man mano che ci si sposta verso nord, però, compaiono i campi coltivati, con frumento ed erba medica inframmezzati da timide colture di soia. E dove la terra è fertile crescono gli insediamenti urbani a fianco di una strada che nel corso del tragitto si è fatta irrimediabilmente più stretta e irregolare. Fino a poco tempo fa solo i militari si ...[continua]
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