Sono venuti a colloquio Mario e Francesca.
è stata una gioia conoscerli dopo tante lettere che ci siamo scambiati. Ho trascorso tre ore meravigliose. Avevo il timore di non reggere il confronto con persone entrambe laureate e che occupano un posto di rilievo nella società; purtroppo la lunga cattività ti crea anche queste problematiche psicologiche.
Ho trascorso tre ore piacevoli; dopo le titubanze iniziali, tutto è stato naturale, mi sembrava di stare seduto al tavolino di un bar oppure in salotto a discutere di tanti argomenti con degli amici. è stato talmente piacevole che mi sono dimenticato di essere in carcere. Non mi era mai capitato un fatto del genere, in qualunque occasione di qualsiasi entità, il carcere era sempre stato presente, una condizione imprescindibile, questa volta è stato diverso. Gli argomenti trattati sono stati tanti, di alcuni non si è riusciti neanche a completare il discorso, l’impressione è che volevano affrontare tutti i ragionamenti che in questi anni abbiamo toccato nelle lettere. Le tre ore sono volate. Sono ritornato dal mio viaggio con il brusco risveglio dell’agente che ha aperto la porta e ha detto: è finito. I risvegli sono sempre brutti, ma non si può nascondere la realtà quando la si vive da una vita intera. Non è stato piacevole rompere bruscamente quell’oasi che si era creata e salutare in modo veloce senza neanche dare il tempo di assorbire il colpo.
Purtroppo il carcere è principalmente questo: freddo, distaccato, disumanizzante. La direzione aveva rigettato la mia richiesta di permesso da loro; siccome Mario aveva partecipato a uno dei tavoli degli Stati Generali per la riforma del sistema penitenziario su domanda del ministero, ha chiesto al ministero perché non poteva entrare a Oristano.  Lui e Francesca erano entrati in altri carceri, era ritenuto una persona idonea a discutere le riforme per migliorare il sistema penitenziario, gli sembrava impossibile che non avesse i titoli per entrare nel carcere di Oristano. Sono intervenuti e subito la direzione ha dato il consenso. Fa riflettere questo episodio, perché se Mario non fosse la persona che è, non avremmo mai avuto l’autorizzazione per conoscerci. Quindici giorni prima, avevo avuto una discussione con il Commissario del carcere, volevo sapere la motivazione per iscritto del diniego per il colloquio, lui mi aveva risposto che non era un mio diritto fare colloqui con terzi, gli risposi che se non ci fossero impedimenti diventava un mio diritto perché il rigetto si tramutava in un sopruso. Rispose che così tutti potevano entrare in carcere, "il giorno che succede entreremo nella civiltà europea”. La sua risposta si commenta da sé: "Non sarebbe più un carcere”, "Lei ha una mentalità medievale, siamo nel terzo millennio se lo ricordi, comunque mi dia la motivazione in modo da potermi rivolgere a chi di dovere”. Non me l’ha data. Ho saputo del colloquio perché quasi tutti i giorni facevo telefonare all’ufficio preposto per avere i motivi, fino a che l’agente di sezione mi ha riferito che il colloquio era stato accettato. Questo è uno dei motivi per cui le carceri non si aprono alla società e rimangono delle "segrete medievali”.
Credo che la società sia composta da tante belle persone come Mario e Francesca, ma il sistema non dà loro la possibilità di incontrare quelle persone verso cui la vita non è stata benigna, persone che certamente non per colpe esclusivamente loro, perché non solo loro hanno gestito il potere del Paese, hanno subito tutto ciò che di peggio gli poteva succedere. È palese che in modo stupido e ignorante, mettendoci anche del nostro, abbiamo buttato la nostra vita. Nel fiume della vita, non sempre ci si abbandona alla corrente, spesso per motivi misteriosi si approda sulla riva sbagliata.
Un grazie a Mario e Francesca di esistere.
Pasquale De Feo, carcere di Oristano