Cari amici,
la nostalgia è una droga pericolosa. È come uno di quei bastoncini che si comprano al mare: un terrificante intruglio di zucchero e glucosio abbastanza duro da spezzare i denti, con delle parole scritte nel mezzo, un cliché o il nome di un posto incisi su toffee bianco, larghe lettere stese e sintetizzate in una minuscola scritta che dopo essere stato arrotolata rappresenta tutto ciò che le città marittime avevano da offrire. Un dolce stucchevole che, una volta scartato, deve essere sgranocchiato fino all’ultima briciola appiccicaticcia. La nostalgia, proprio come i bastoncini di zucchero -un oggetto nostalgico in sé- sembra essere ovunque, simbolo dell’immutevole idillio inglese quanto i festoni delle sagre di paese, i tessuti estivi e le fanfare nell’aria pomeridiana satura di insetti. Offusca la chiarezza e favorisce seducenti mezze verità.
Questo stato d'animo malinconico regna ovunque, un passatempo nocivo e che dà dipendenza. "Nostalgia” deriva dalla parola greca "nostos”, che sta per "ritorno”, e "algos”, che significa "sofferenza”. La nostalgia è dunque sofferenza causata dall’impossibile desiderio di ritornare. Ha a che fare con molte fra le nostre peggiori decisioni, non da ultima quella del referendum sulla Brexit, quando la gente si è avvolta del miasma di una narrazione che vedeva la Gran Bretagna come unico leader dell’impero, provando nostalgia per un’identità data da una costellazione fissa situata da qualche parte lontano dalla realtà. Il ruolo che la nostalgia ha assunto nella scelta di un futuro confuso e tendente all’assurdo non è stato marginale.
Sarebbe bene tornare a leggere Marcel Proust, il quale afferma a buona ragione che "Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente”. Sembra essere il caso della proposta di reintrodurre le "Grammar school” e l’istruzione a numero chiuso. Non vi è un solo esperto di istruzione in tutto il Paese che appoggi il ritorno di una tale pratica divisiva, eppure si tratta di uno dei principali obiettivi di Theresa May. Poco importa se il paese è nettamente spaccato in due e  se sembriamo comportarci più come una repubblica delle banane che come una democrazia antica ed effettivamente adulta. Niente programmi: soltanto nostalgia.
Ricordo ancora il senso di vergogna che provai quando mia madre aprì la busta marrone con i risultati del mio ultimo anno alla scuola dell’obbligo che spuntava da sotto la porta e disse che ero stata bocciata. Ero un caso limite, figlia di un lattaio -occupazione della classe operaia- e vivevo in una casa popolare. La mia migliore amica, i cui genitori erano insegnanti, ricevette lo stesso voto, ma viveva in una bifamiliare. I posti disponibili per i casi limite erano pochi, e in qualche modo fu la mia migliore amica che nonostante i suoi voti riuscì ad accedere alla "Grammar school”. Io mi iscrissi a una scuola tecnica, la scuola secondaria dalle minori possibilità e dalle pretese molto più basse. Dopo quell’estate non rividi più la mia migliore amica; dopotutto che senso aveva incoraggiare quell’amicizia quando i nostri posti nella società erano già stati determinati? Accadde dunque che la scuola che frequentavo si rivelò essere un’istituzione alquanto creativa e che fui coccolata dagli insegnati, i quali riconobbero in me una certa predisposizione al lavoro accademico e alla scrittura. Mi mandarono a frequentare l’ultimo biennio in una "grammar school”. Una volta lì, mi sentii completamente alienata dalla cultura e segnata dal mio passato. Volevo fuggire e basta. A oggi non mi sono ancora scrollata di dosso quel senso di inadeguatezza. La reintroduzione delle "Grammar school” è sempre stata il sogno nostalgico di certi Tory, il filo conduttore del bizzarro punto croce presente in ogni abitazione degli esponenti del partito per l’indipendenza, insieme alle anatre di porcellana e ai sotto-birra in cartone di Farage. Questa strana risacca considera il vecchio e lo screditato come progressista e splendente, ma non è che un’assurdità. È la cuccagna dei nostri autori satirici. Mi chiedo cos'avrebbe fatto di tutti noi Jonathan Swift.
Ho nostalgia dei giorni in cui un ministro degli esteri poteva essere spinto a scendere in campo per i cittadini, come successe con Andy Tsege. Ecco, oggi abbiamo Boris Johnson in quel ruolo.
Tsege è un attivista per i diritti umani e cittadino inglese di origine etiope esiliato nel nostro Paese e condannato a una pena ...[continua]

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