Stephen Bronner è senior editor di Logos, giornale online (www.logosjournal.com). Insegna Scienze Politiche alla Rutgers University del New Jersey. Ha pubblicato, tra l’altro, Peace Out of Reach: Middle Eastern Travels and the Search for Reconciliation (The University Press of Kentucky, 2007), Critical Theory: A Very Short Introduction (Oxford University Press, 2011) e The Bigot: Why Prejudice Persists (Yale University Press, 2014).

Un vecchio amico mi ha detto un giorno che essere una persona decente significa sentirsi la coscienza sporca. E c’è abbastanza di cui sentirsi colpevoli per quello che sta accadendo in questo 2015. L’incertezza etica su come una società liberale debba confrontarsi con l’intolleranza è diventata terribilmente evidente a seguito dell’assassinio di quattro ebrei francesi in un supermarket kosher e di dodici editor e membri dello staff di "Charlie Hebdo”, un magazine satirico con sede a Parigi, per mano di appartenenti ad Al Qaeda e al gruppo rivale Isis. La paura di accusare le vittime e forse di appoggiare Israele ha portato persone anche molto rispettabili a minimizzare l’antisemitismo europeo in crescita e l’attrazione del fanatismo islamico.
Visto il terrore e lo spargimento di sangue prodotto nella regione da Israele e dagli Stati Uniti, molti si preoccupano dell’uso di un doppio standard nella discussione sul terrorismo. Se è permesso fare satira su Maometto, è difficile capire perché lo stesso comportamento viene giudicato criminale quando si applica all’Olocausto. Charlie Hebdo può essere stato critico verso le religioni in quanto tali, ma rimane il fatto che quella redazione prendeva di mira l’Islam più spesso rispetto ad altre fedi. Non prendevano abbastanza seriamente in considerazione le possibili conseguenze dalle loro provocazioni blasfeme.
Al contrario, rivendicavano l’universale "diritto” di parola che, nella realtà, molti stati negano in principio e che persino gli stati liberali non mettono mai completamente in pratica. Quindi solo un attacco al doppio standard associato all’iniziativa degli stati occidentali nell’applicare lo stato di diritto può invertire la marea crescente dell’intolleranza.
Questo argomento è logico e solleva questioni legittime. Ma c’è un problema: i fanatici non hanno alcun interesse a rifiutare il doppio standard, ad applicare la legge internazionale o a promuovere cause progressiste. Se un doppio standard permette la diffamazione di Allah o del profeta, ma non dell’Olocausto, o si permettono entrambe le cose o -molto peggio- si proibiscono entrambe. Sfortunatamente il "vero credente” rifiuta entrambe le opzioni: deve essere libero di criticare quello che vuole e di censurare quello che non gli aggrada. Per quanto riguarda la politica progressista, inoltre, i terroristi islamici forniscono quello che i comunisti amavano chiamare una "apologia obiettiva” per gli intransigenti sostenitori di Israele e per quelli che si preparano per lo "scontro finale tra civiltà”. I fanatici islamici hanno diffuso un sentimento di paura tra i normali cittadini che è benzina sul fuoco per gli intolleranti e gli xenofobi anti-immigrazione. I vecchi stereotipi sugli arabi si rafforzano, assieme alla sempre popolare identificazione dell’Islam con la barbarie. Forse questo era l’obiettivo degli estremisti sin dall’inizio.
Qualunque fossero le loro intenzioni, i terroristi hanno ricevuto supporto da organizzazioni che hanno massacrato i loro correligionari più moderati, ridotto donne in schiavitù e decapitato giornalisti. In queste settimane Isis ha decapitato due ostaggi giapponesi e giustiziato due uomini "colpevoli” di essere gay gettandoli giù da un tetto. In breve, abolire il doppio standard e accettare lo stato di diritto non è una strada a senso unico, richiede reciprocità.
Il fanatismo islamico insudicia la fede e minaccia gli interessi della stessa comunità islamica. La maggioranza dei membri di questa comunità lo sa bene. Questo è probabilmente il motivo per cui molte penetranti critiche ad Al Qaeda e Isis vengono da coloro che propongono una lettura più umana dell’Islam e delle parole del profeta. Naturalmente, ci sono zone di Parigi in cui gli arabi e i musulmani hanno avuto paura di unirsi alla marcia, ma la maggioranza ha condannato il terrorismo. Hanno scelto un sentiero diverso rispetto alle dimostrazioni che ci sono state in Danimarca contro i vignettisti e i giornali di destra che ridicolizzavano l’Islam e il profeta. La comun ...[continua]

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