Pubblichiamo la prolusione di Maurizio Bertolotti alla Giornata della Memoria celebratasi a Mantova, presso il Teatro Bibiena, il 27 gennaio 2014.

Non sono completamente d’accordo con Elena Loewenthal che ha di recente scritto delle sofferenze che comporta per chi è ebreo continuare a ricordare la Shoah. «La cognizione del male -sostiene la studiosa- non è un vaccino» e «"Ricordare perché non accada mai più” è una frase vuota» (Contro il giorno della memoria: una riflessione sul rito del ricordo, la retorica della commemorazione, la condivisione del passato, Torino, Add editore, 2014). Da parte mia obietto che è bensì vero che anche l’oblio è necessario alla vita, ma che ciò che vogliamo essere dipende anche da ciò che decidiamo di ricordare e di dimenticare.
Il racconto di Auschwitz tuttavia non può bastare, tanto meno se la narrazione non frutta che una stupefatta e inorridita contemplazione dell’irrazionalità. Anche dell’irrazionalità siamo chiamati a renderci ragione, che altrimenti l’interpretazione degli eventi in chiave di umana follia si risolve nel rassicurante confinamento dell’orrore in un altrove che non ci riguarda. Dalla comprensione delle ragioni possiamo peraltro ricavare, si badi, non un antidoto infallibile contro l’iterazione dei mali, ma chiavi di interpretazione di quanto accade oggi sotto i nostri occhi che ci orientino verso modelli di comportamento meno nocivi.
Di quale tipo di comprensione si tratta? Sotto il profilo storico la conoscenza non può che dispiegarsi attraverso l’indagine dei nessi che legano i fatti anche più estremi e apparentemente irrelati ai contesti molteplici della vita economica, sociale, culturale e politica del passato prossimo e remoto. Nel caso della Shoah uno di questi contesti, forse il più importante, ma non sicuramente l’unico, è ovviamente costituito dal complesso delle misure discriminatorie e persecutorie di cui per millenni gli ebrei sono stati vittime. Come ha osservato uno studioso ebreo molto famoso, Arnaldo Momigliano, grande maestro di studi storici, «Non è possibile rendersi conto di quanto è accaduto agli ebrei di Europa […] senza guardare in faccia gli elementi di tensione religiosa coordinatisi nella lunga tradizione di antisemitismo» ("Storie e memorie ebraiche del nostro tempo”, in A. Momigliano, Pagine ebraiche, a cura di Silvia Berti, Torino, Einaudi, 1987, pp. 143-151: p. 145).
Antigiudaismo e antisemitismo costituiscono in effetti una componente di importanza primaria della storia culturale e sociale dell’Europa, dell’Italia e, per quanto ci interessa più da vicino, di Mantova e del mantovano. Le terre in cui viviamo furono sede infatti, almeno a partire dal Quattrocento, di comunità ebraiche tra le più popolose, attive e fiorenti dell’Italia settentrionale.
Ripercorrere la secolare ricchissima vicenda dei rapporti tra ebrei e non ebrei nel Mantovano -che furono rapporti di proficua convivenza e insieme di aspra conflittualità- può dunque aiutare a comprendere i vari e complessi processi attraverso cui si sviluppano i pregiudizi, l’intolleranza, le pratiche discriminatorie, le iniziative persecutorie.
Comincerò dai contesti più prossimi alla tragedia. Il racconto che Italo Bassani ci offre della sua infanzia mantovana all’epoca delle leggi razziali è tra i più vivaci, ironici e commoventi tra le memorie che testimoni ebrei mantovani ci hanno tramandato di quegli anni.
Nel capitolo II, parlando della casa di via Magnani (ora via Pier Fortunato Calvi) dove la sua famiglia abitò nel 1938, così scrive:
In quella casa, che oggi esiste ancora, rimanemmo soltanto un anno circa. Dovemmo lasciarla perché il coinquilino, uomo di integra fede fascista, si era rivolto alla questura e aveva ottenuto di farci mandare via. Come avrebbe potuto vivere in una casa ove, scendendo le scale, avrebbe potuto incontrare dei giudei? O solo sentirne l’odore. Allora l’ebreo veniva appellato con il dispregiativo termine di giudeo. La maggior parte delle persone credeva che questo termine derivasse da Giuda Iscariota, che fu colui che, secondo il Vangelo, tradì Gesù Cristo per trenta monete d’oro. Giudeo significa invece discendente dalla Tribù di Giuda, una delle dodici tribù di Israele (Italo Bassani, Tanzbah’. Ricordi di un ragazzo ebreo, Mantova, Istituto provinciale per la storia del movimento di liberazione nel Mantovano, 1989, pp. 19-20).
Un paio di pagine avanti, Bassani così continua il suo racconto:
Dovemmo trasferirci ...[continua]

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