La mia conoscenza di Croce era di vecchia data. Appena stabilitomi a Napoli alla fine di gennaio del 1914 gli ero stato presentato da un amico comune ed ero subito divenuto assiduo di quei deliziosi ricevimenti domenicali a casa sua, dove ogni ospite faceva quello che voleva e s’intratteneva con chi gli piaceva, mentre lui, in piedi dietro un’immensa tavola, andava prendendo in mano ora un libro ora un opuscolo ora una rivista e ne dava un breve commento e un rapido giudizio, qualche volta formulato con un’osservazione ponderata, altre volte invece compendiato in un frizzo pungente accompagnato dalla sua risata larga e dal veloce ammiccare delle palpebre. E divagava con ricordi, con citazioni, con aneddoti, i quali ultimi, per lo più relativi alle piccinerie e alle bizze degli intellettuali italiani oppure alla Napoli del passato e del presente, raccontava con una stupefacente precisione di nomi, di date, di circostanze, come se meritassero altrettanta attenzione quanta un venerabile documento storico o letterario.
[...]
Benché fossero passati ormai tre anni dal nostro ultimo incontro, Croce mi aveva conservato, evidentemente, la sua benevolenza, poiché mi ricevette con premurosa cordialità. Seduto sull’orlo di un divano in uno dei salottini di ricevimento di palazzo Madama, con una delle gambe troppo corte e troppo sottili distesa e l’altra ripiegata sotto questa, così da porle a sostegno all’addome alquanto prominente (era la postura abituale di Cavour, ma sono certo che non vi era da parte di Croce nessuna deliberata imitazione...), si preparava ad ascoltare quello che avevo da dirgli. Ma fin dalle prime parole la sua risposta sonò amara delusione. «Abbiamo discusso lungamente nel nostro gruppo la posizione da assumersi di fronte alle dichiarazioni di Mussolini» disse «e abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell’ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito».
Non potevo credere alle mie orecchie. E l’indignazione fu tanta da annullare in me ogni freno di rispetto e di venerazione: coll’indice accusatore teso verso di lui e colla voce alterata dall’emozione proruppi in questa concitata invettiva: «Come mai non v’accorgete che nella vostra condotta si uniscono sofisma e ingenuità? Il fascismo è stato un bene? un bene la violenza, le purghe, le bastonature, gli incendi, gli assassinii? un bene la continuazione dell’illegalità protetta, dopo che l’ascesa al potere dava a Mussolini la possibilità oltre che il dovere di stroncarla? E ...[continua]
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