Lavoro nell’edilizia da otto anni. Faccio il restauratore e sono titolare di un’impresa artigiana che attualmente ha due dipendenti. Ho studiato storia e filosofia all’università, sono riuscito a mantenermi agli studi e a laurearmi grazie a questo lavoro, e grazie a esso tutto sommato devo ammettere di essere oggi una persona migliore di quella che ero. Ho dovuto sporcarmi le mani, faticare e imparare velocemente un lavoro per il quale avevo competenze molto parziali. Quando sono entrato per la prima volta in un cantiere mi sono chiesto se quello poteva essere il lavoro della mia vita. L’impatto è stato talmente brusco che all’inizio non sapevo davvero come avrei potuto calarmi nella nuova dimensione. Soprattutto non sapevo immaginare quale ruolo avrei avuto in quel determinato contesto. Alla fine ho capito che nel cantiere c’era gente che lavorava per campare, punto e basta. E che, esattamente come accade per tutti gli altri ambienti di lavoro, ci sono norme e codici particolari che vengono interiorizzati e che permettono il normale funzionamento delle cose: se non ci sei “nato”, devi avere forti motivazioni per abituarti alle battute e alla rudezza dei colleghi, e, forse, in fondo non ne farai mai davvero parte.

Si fa fatica a reperire testi sul mondo dell’edilizia, probabilmente perché è un mondo poco accessibile a chiunque ne sia esterno. Eppure è da sempre una delle porte di accesso per quanti hanno necessità di trovare velocemente un lavoro. In teoria sembrerebbe facile accedervi. Assieme ai servizi e all’assistenza alla persona, il lavoro edile impiega la quasi totalità degli stranieri extracomunitari.
Ho spesso la sensazione che nel suo complesso l’edilizia sia considerata un settore in cui in fondo regna l’illegalità, lo sfruttamento, condizioni di lavoro negative, una bassa qualificazione: una sorta di terra di nessuno del lavoro dove tutto è possibile, dove le persone si fanno male, dove pochi si arricchiscono a scapito di tanti costretti a lavori molto faticosi.
L’ambiente, in effetti, è decisamente particolare. Credo che buona parte dei pregiudizi abbiano un fondamento di verità; tuttavia nel tempo mi sembra che le cose stiano gradualmente cambiando. Ci sono molti giovani artigiani che hanno una consapevolezza maggiore di quello che fanno, o che hanno percorsi di studio e formazione diversi da quelli che aveva la quasi assoluta maggioranza degli addetti fino a poco tempo fa. Le nuove sensibilità conservative e la pratica del restauro, ad esempio, hanno portato nuove figure professionali sui cantieri. Una maggiore attenzione alle misure di sicurezza ha migliorato la condizione generale di lavoro, l’ambiente s’è umanizzato molto. La stessa presenza di attrezzature tecnologiche efficienti rende meno pesante il lavoro.
Forse ancora persiste un ultimo aspetto negativo. Il mestiere del muratore, o quello di artigiano, resta un lavoro sporco, nel senso letterale del termine, e continua a godere di scarsa considerazione sociale. Esige fatica, sudore e una grande resistenza allo sforzo fisico. La professionalità viene acquisita con la pratica e l’esperienza, non si improvvisa nulla, dunque il processo di apprendimento è molto lungo e richiede impegno. Per il resto il lavoro artigianale non è quasi mai ripetitivo né alienante. Un sistema di divisione e frazionamento delle fasi lavorative per arrivare a un prodotto finito non è concepibile. Piuttosto si ha un lavoro di equipe. Il cantiere stesso è di fatto una complessa organizzazione delle lavorazioni di maestranze, ognuna intenta a far la sua parte per arrivare a “costruire” l’opera finale.

Nel mio piccolo, avendo iniziato nel ‘98, mi sono trovato in una fase di profonda trasformazione del lavoro nell’edilizia nella città dove vivo e lavoro tuttora. Il comparto dell’edilizia è stato trainante negli ultimi anni per l’economia del Piemonte e di Torino in particolare. Non solo per quanto riguarda i grossi investimenti per le infrastrutture in occasione dell’evento olimpico, ma anche per ciò che concerne cantieri più modesti, dal risanamento delle facciate delle case del centro storico, alle ristrutturazioni degli alloggi.
Dal 1998 a oggi mi sembra che le condizioni di lavoro siano molto mutate, così come gli stessi lavoratori. Alcune delle ditte per le quali ho lavorato hanno chiuso o hanno cambiato ambito lavorativo. Niente di straordinario per carità, nell’edilizia la mortalità delle imprese è sempre stata alta. In questi anni però ...[continua]

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