Zulma Paggi aveva attraversato molte fasi politiche, sociali e culturali. Aveva fatto politica in prima persona negli anni migliori del socialismo milanese, nel Partito radicale e nel movimento femminista milanese legato alla Libreria delle Donne di Via Dogana, luogo fondamentale di incontro negli anni 70. Come ricorda il figlio Marco, “parlava inglese, francese e soprattutto tedesco perfettamente, con quella cultura classica delle generazioni di un tempo. Ebbe un grande interesse per la psicanalisi. Era anche una donna simpatica e ironica. Cucinava malissimo. Era forse l’unica in Italia a chiamarsi Zulma, un nome turco che viene da Zulema, e che era il nome di sua nonna paterna morta giovanissima nei primi anni del Novecento”. Da anni Zulma era impegnata a San Vittore con i detenuti (prossimamente pubblicheremo l’intervista che ci aveva rilasciato su questa sua esperienza).
Da tempo seguiva il nostro lavoro dandoci consigli e suggerimenti preziosi. La ricordiamo pubblicando stralci degli email che ci ha spedito in questi anni, assieme ad alcune righe della sua amica Renata Sarfati.


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26 dicembre 2002
Buon Natale.
Ho fatto in modo, il caso aiutando, di limitare al massimo il Mischmasch natalizio. Una volta, per sfuggire a questo insopportabile casino, me ne sono andata nell’unico posto in Europa dove il Natale non esiste, un monastero tibetano in Svizzera. Il Natale aveva senso da bambino piccolo, ma poi... poi ho fatto un lavoro accurato di sottrazione (e talvolta penso che nella mia vita sia stata l’attività principale, l’unica forse riuscita: abolire un sacco di cose, non starci, non leggere, non esserci, non vedere, tappare le orecchie, non incontrare: insomma, una brillante attività al contrario -anch’essa ha implicato energie e attenzione- il mio stemma potrebbe essere un setaccio. Di quel che è restato, di quel che ho salvato, io sono contenta).

27 dicembre 2002
I tempi del setaccio.
Se tu sapessi come era una volta! Io sono vecchissima, e ho conosciuto un’altra Italia. In un’altra Italia sono nata.
Setacciare, allora, non significava sottrarsi all’entusiasmo, all’amore, non significava non lasciarsi andare, significava opporsi, dire di no, a una italietta di cui ormai solo i vecchi film danno testimonianza. Era una grande fatica, un lavoro spesso solitario -anche se poi, con un poco di buona sorte, i ‘giusti altri’ si potevano anche trovare. Era quasi, non ridere, un piccolo personale lavoro politico, senza sapere dove si andava a parare.
O con altri pochi, spesso ancora più incerti.
L’Italia della Dc, delle parrocchie (mia madre ricevette una lettera anonima perché mi avevano visto in giro in pantaloni, lei si spaventò e me li proibì), del Pc togliattiano, che a leggere allora Rinascita sembrava di diventare matti perché non ci si capiva niente, le parole commentavano le parole. Si formavano i primi gruppi estremisti, ed erano orrendi. Non c’era quasi nulla di possibile, all’Università ci si addormentava.
L’unica cosa a disposizione era la rivolta pesante, sfrontata, quella che distrugge e lascia il deserto. Vedi, il mondo, prima del ‘68, era un altro mondo.
E vivere a Milano era come vivere in un paesotto, tutta l’Italia era provincia.
Si salvava solo il mondo degli artisti, mondo difficile, balordo, ma evviva, che ce ne fossero! A Brera, nei baretti allora non snob, mescevano tanta bella energia insieme al vin bianco.
Spero di aver spiegato cosa vuole dire, per me, la sottrazione. Cosa voleva dire. Bisognava lasciar da parte un sacco di cose, per poter fare spazio alle altre. Questa è, come vedi, una storia molto molto vecchia.

4 gennaio 2003
Con una certa commozione ho ritrovato il Demau, lì furono le mie prime riunioni, in una casa bellissima di un architetto famoso in via dei Cappuccini, una della vie più prestigiose di Milano.
(Io che arrivo, felicemente, dal basso, nata in una casa di ringhiera -ma da una famiglia particolare, non definibile sociologicamente- fui prima di tutto colpita dalla raffinatezza del luogo, era quasi paralizzante: le mie uniche esperienze di incontri politici erano state alla sezione del Psi, primi anni ‘60, lì non c’era nulla di raffinato -ero sconcertata).
Era la gauche che si ripensava da capo, che vedeva infine l’autoritarismo maschile, da demistificare. Ma di certo una gauche alquanto dorée, persone colte, molto intelligenti, un gran piacere nell’ascoltare. Stimoli a non finire. C’era, tuttavia, una barriera -vorrei dire d ...[continua]

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