Sveva Haertter è coordinatrice della Rete Ebrei contro l’Occupazione; vive a Roma.
La rete “Ebrei contro l’Occupazione” funziona principalmente per posta elettronica con una lista di discussione e un’altra a carattere divulgativo, in cui viene fatto circolare materiale informativo; periodicamente promuove riunioni sia a livello locale che nazionale (rete.eco@virgilio.it).
Ejjp (European Jews for a Just Peace) è una rete di 18 organizzazioni ebraiche di 10 paesi europei che si sono incontrate la prima volta ad Amsterdam nel settembre 2002 concordando una piattaforma comune (Dichiarazione di Amsterdam) sulla base della quale nel marzo 2003 a Bruxelles è stato deciso di diventare una “organizzazione di organizzazioni”. L’ultima conferenza annuale si è svolta nel maggio di quest’anno a Parigi.
(http://www.ejjp.org).

26 maggio 2003
Ogni volta che arrivo a Gerusalemme, la prima cosa che faccio è andare nella città vecchia. Questa volta ci vado in autobus ed entro dalla porta di Jaffa. Camminando per il bazar i negozianti ti assalgono perché gli affari vanno male da quando c’è l’Intifada e di turisti se ne vedono pochi. In genere te la cavi con “la shukran” che vorrebbe dire “no grazie”, ma uno sembra particolarmente gentile e mi offre aiuto, così accetto di farmi portare da suo cugino per comprare una scheda per il cellulare. Dopo torniamo nel suo negozio e ci mettiamo a parlare. Mi dice che lui prima era vicino a Fatah, ora anche se si votasse non ci andrebbe perché non si fida più di nessuno. Entra un ragazzo palesemente straniero, amico del negoziante.
Chiacchierando viene fuori che è Tobias, il ragazzo svedese che coordina l’Ism a Jenin e che era con Brian Avery quando è stato ferito. Ci scambiamo i telefoni e mi dà delle buone dritte per arrivare a Jenin, dove poi vado con altri sistemi. Siamo rimasti in contatto telefonico, ma non ci siamo più incontrati.
Da casa di Jeremy Milgrom a Baqa mi viene a prendere Peretz Kidron di Yesh Gvul; andiamo in un bar nel quartiere che si chiama “German Colony” dove un tempo c’erano i templari. Il bar è conosciuto anche perché la guardia all’ingresso tempo fa ha impedito un attentato. Peretz mi annuncia che sta per uscire una lettera degli Shministim* ai palestinesi che chiede la fine degli attacchi suicidi (che verrà poi pubblicata sulla stampa araba il 15 giugno) e combina un appuntamento con Ram Rahat per avere informazioni sulla situazione dei refusenik e un passaggio a Jaffa per il processo di Yoni Ben Artzi. Per evitare prodotti degli insediamenti, beviamo un vino cileno, salvo poi venire a sapere che l’azienda che lo importa è proprio in un insediamento.

27 maggio
La mattina vado a trovare Zvi Schuldiner, parliamo della situazione, mi racconta di come, da quando sua figlia lavora per l’Alternative Information Center, in aeroporto hanno sempre un sacco di rotture di scatole con le perquisizioni. Dedichiamo molta attenzione alle questioni sociali interne alla società israeliana (è in votazione la finanziaria con pesantissimi tagli allo stato sociale ed alle pensioni e sono in corso manifestazioni molto partecipate organizzate dall’Histadrut). Mi racconta della realtà delle città del Sud dove c’è molta povertà e disgregazione sociale, della difficoltà che c’è nel far fare il nesso tra questo disagio, l’economia di guerra israeliana, la globalizzazione e la guerra contro il terrorismo, la restrizione globale e diffusa dei diritti democratici. Conveniamo sul fatto che questi aspetti non vengono considerati con sufficiente attenzione, che una eventuale futura delegazione di “European Jews for a Just Peace” dovrà affrontare anche questi temi. Va sicuramente stabilito un maggiore contatto con il suo gruppo che si chiama “Committment for social justice and peace association”.
Il pomeriggio sono da Ram Rahat di Yesh Gvul, che conferma che attualmente non c’è un particolare accanimento nei confronti dei riservisti, che l’esercito sembra aver scelto una strategia di “basso profilo”. Mi spiega che l’idea di adozioni di singoli refusenik da parte di enti locali, camere del lavoro e quant’altro, non funziona perché il fondo è collettivo e i soldi vengono erogati su specifica richiesta e tutelando la riservatezza. Sia lui che Zvi mi propongono di partecipare con le loro mogli alle attività di MachsomWatch e questa è una delle tante cose che non sono riuscita a fare.
Dice che dovremmo lavorare molto con le lettere di protesta ed inviarle alle ambasciate i ...[continua]

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