Si è svolto, l’11 e il 12 dicembre 1998, a Milano un convegno per ricordare la figura e l’opera di Elvio Fachinelli, psicoanalista e intellettuale fra i più importanti del nostro dopoguerra, punto di riferimento fondamentale dei movimenti del 68, scomparso nel 1989. Le sue opere più note e a cui spesso si fa riferimento nel convegno sono: L’erba voglio (1971), Il bambino dalle uova d’oro (1974), La freccia ferma (1979), Claustrofilia (1983), La mente estatica (1989). Noi abbiamo voluto ricordare Elvio Fachinelli facendo una scelta di piccoli frammenti dei tanti interventi tenuti al convegno. Alcuni di questi verranno pubblicati integralmente su altre riviste. Chi volesse saperne di più può contattarci.

Elvio era contro il sapere onniesplicativo delle interpretazioni in psicoanalisi, lui lasciava un qualcosa che si può chiamare un residuale di non detto, che è poi quello che ha l’effetto vero in analisi. Altrimenti si cade nell’ideologia di tradurre tutto ciò che il paziente dice in un sistema organizzato di pensiero... nel pericolo dell’interpretazione esaustiva...
dall’intervento
di Lamberto Boni

Ci ritrovavamo semplicemente al bar, ma come intellettuali -oggi non si usa neanche più questa parola- "a tempo pieno". Cosa vuol dire essere degli intellettuali a tempo pieno? Vuol dire generare ininterrottamente criticità. La criticità era come per altri l’approfondimento nel proprio specifico; una criticità sostenuta da una curiosità vera, su fatti generali, particolari, su ciò che accadeva sul piano culturale. E sempre in un modo, torno a dire, disinteressato: non si scriveva per essere pubblicati, non si parlava per essere riprodotti. Ecco, devo dire di essere stato influenzato, penso per sempre, da questa quotidianità così viva, anti-dogmatica proprio per sua necessità, sperimentale, di un discutere che saltava continuamente gradini, che continuava a evidenziare stereotipi per distruggerli molto tranquillamente, allegramente...
Un altro carattere che Fachinelli impersonava in modo forse più ricco di altri, era la continua mescolanza di lavoro solitario e di dialogicità. Anche questo è un doppio interessante: oggi siamo portati a considerare questi due aspetti opposti, allora noi li consideravamo complementari. La forza della solitudine ma insieme alla forza della dialogicità: il piacere di stare con gli altri, la curiosità di capire l’altro. Non solo, ma la dialogicità non portata a convincere l’altro, bensì a capire di più per sé, quindi una specie di egoismo ricco...
dall’intervento
di Giancarlo Majorino

L’altra storia interessante, e anche divertente, fu l’organizzazione del cosiddetto controcongresso del congresso internazionale dell’Ipa all’Hilton di Roma nel 1969... A me fu dato l’incarico di preparare un manifesto. Partii il giorno dopo e andai da Albe Steiner, che era stato il grafico di Vittorini (ed era un mio grande amico) che, nell’arco di un giorno, preparò dei bellissimi manifesti che, apparentemente, non avevano niente di particolare: "XVIII congresso di psicanalisi, Roma...", tranne che per le due ultime "s" di congress in inglese, che erano trasformate in due dollari, la qual cosa era veramente molto aggressiva.
Se ne fecero un centinaio di copie, venti le diedi alle librerie Einaudi, per metterle in vendita per guadagnare qualche soldo e le altre le portammo a Roma. L’ultima serata prima del congresso ci riunimmo per discutere su come organizzarci e fu deciso che ci saremmo messi ai lati di questa grande sala dell’Hilton e che, alla fine della prolusione del presidente, dovevamo scattare in piedi e (con le puntine tenute pronte) affiggere i manifesti in tutte le pareti della sala. Noi eravamo giovani e con tutti questi analisti roboanti, certamente maestri della psicanalisi, eravamo molto timidi, molto preoccupati. Comunque andò tutto bene. Appena finì la relazione iniziale, mentre tutti battevano le mani, ci alzammo imperterriti e affiggemmo i manifesti, tappezzammo tutta la sala e poi, come se niente fosse, uscimmo dalla sala per portarci nella trattoria di sotto che era stata previamente informata. Con nostra grande meraviglia, tantissime persone ci seguirono, compreso lo stesso Musatti, che era molto simpatico, molto ironico nei confronti della stessa istituzione che aveva fondato, e che, quindi, era ambivalente come sempre. Ci sedemmo a un tavolo con una platea dove però c’erano personalità interessanti come Maria Langer, una grande analista argentina, e tanti ...[continua]

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