Aldo Giannuli è ricercatore di Storia all’Università di Bari. Autore di vari saggi sulla recente storia italiana -fra i quali Lo Stato parallelo (ed. Gamberetti ‘97), scritto con Paolo Cucchiarelli-, è uno degli esperti chiamati a collaborare con la Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi.

Due relazioni alla Commissione stragi, recentemente presentate dalla destra, ripropongono la “pista anarchica” per la strage avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, che fondamento hanno?
Le due relazioni di cui parli sono state presentate da Alleanza Nazionale e non solo ripropongono la pista Valpreda, sostenendo che ci sarebbero stati sistematici depistaggi a favore degli anarchici, ma avanzano anche l’ipotesi che Valpreda sia stato l’esecutore della strage per conto di Feltrinelli, che a sua volta sarebbe stato un agente doppio o triplo, appartenente non solo all’apparato clandestino del Partito comunista, ma anche ai servizi segreti russi e a quelli inglesi. Forza Italia, però, non li ha seguiti su questa impostazione, ha anzi avuto delle espressioni di apprezzamento per l’inchiesta Salvini, che indica i fascisti come esecutori della strage.
Va detto che delle differenze, radicali o sfumate, sono comunque presenti in tutte le relazioni presentate alla Commissione. Fra le relazioni di Verdi e Ds, ad esempio, ci sono ovviamente importanti punti di contatto: ambedue sostengono la tesi che Piazza Fontana fu attuata dai fascisti e ispirata da settori dei servizi segreti italiani e americani, ma c’è anche un’importante divergenza sulla valutazione del ruolo avuto dal Pci negli anni della strategia della tensione. Un taglio ancora diverso ha la relazione del Partito popolare: da una parte cerca di ricostruire le vicende della strategia della tensione ammettendo l’interferenza delle potenze straniere e facendo cenno, se non proprio alla “sovranità limitata” dell’Italia di allora -espressione che i popolari non amano-, a dei condizionamenti dettati dallo stato di necessità dovuto alla situazione internazionale; dall’altra parte, però, è molto preoccupata di eliminare tracce che portino alle responsabilità della classe politica del tempo, cui viene anzi sostanzialmente attribuito il merito di aver fatto fallire l’assalto alla democrazia avvenuto in quegli anni.
Ogni relazione è quindi diversa per argomenti e finalità politica, oltreché per struttura, ed è molto difficile dire se alla fine verrà fuori una relazione unitaria. Io sono molto pessimista, credo che non ci si arriverà, anche se la relazione proposta dal presidente Pellegrino cerca di andare in questo senso. Il problema è che, per essere accettabile e votabile anche dai popolari, la relazione di Pellegrino concede molto, io penso esageratamente, alla destra; per la destra, però, e per i popolari quanto è concesso è troppo poco, mentre è già troppo per la sinistra, per cui cade in quel punto di mezzo che non trova la solidarietà di nessuno degli schieramenti.
Ma dietro tutte queste relazioni c’è in gioco anche il giudizio storico su quello che è successo negli anni ’60 e ‘70?
Dietro alle diverse relazioni ci sono molte e diverse preoccupazioni. C’è chi, in tempi di revisionismo storico e di riconsiderazione della storia repubblicana, per evidenti ricadute sul piano del consenso, è soprattutto preoccupato di affermare una certa ricostruzione storica piuttosto che un’altra, ma c’è anche chi è principalmente preoccupato di quanto può ancora emergere: non sono pochi gli ambiti e le parti politiche in cui sono evidenti le indisponibilità a collaborare e ad accettare le responsabilità.
Va detto che queste indisponibilità non riguardano solo chi, evidentemente, ha il fardello di essere stato decisamente contiguo agli stragisti, ma anche chi ha compromissioni lievissime, perché dà comunque fastidio ammettere le proprie responsabilità. Così si opta per una politica del silenzio e di resistenza ai tentativi di fare chiarezza. In fondo, il problema di questa Commissione è che deve far stare un fatto storico assieme con gli interessi partitici che confluiscono sul terreno istituzionale, ma questo è il dramma connaturato a tutte le commissioni parlamentari d’inchiesta. Quando il Parlamento è nato era solo un organo di controllo -i suoi primi poteri erano quelli di controllo sull’operato del governo e di erogazione di fon ...[continua]

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