Alice Rubino vive a Trieste.

Da adulta ti sei ammalata di diabete di tipo 1, una patologia poco conosciuta e spesso confusa con il diabete di tipo 2. Ci racconti come e quando è avvenuto il tuo esordio?
Il mio esordio di diabete di tipo 1, ovvero la diagnosi, è arrivata nella mia vita quando ero già più che adulta, avevo 49 anni, quattro anni fa. Ricordo che mi era calata la vista, vedevo male, ma ho sempre portato gli occhiali quindi non mi ero particolarmente preoccupata. Pensavo mi fossero venute le cataratte. Ero in vacanza a Berlino quando ho notato questo peggioramento. Oltre alla vista sfocata ricordo una sete incredibile e un forte dimagrimento: sono sempre stata magra ma non ero mai arrivata a pesare 44 chili. Quando sono tornata da Berlino non vedevo quasi niente, così mi sono recata al Pronto soccorso oculistico della mia città, Trieste.
Cosa ti dissero?
Mi comunicarono subito che il peggioramento della vista non aveva nulla a che fare con le cataratte, le opzioni purtroppo erano ben più gravi: poteva trattarsi di Sla (sclerosi laterale amiotrofica, ndr) o di un tumore. L’oculista mi chiese se fossi diabetica, risposi di no e mi prescrisse delle analisi del sangue che comprendevano anche il valore di glicemia a digiuno. I risultati furono scioccanti: il mio glucosio nel sangue era pari a 600 milligrammi su decilitro. Per un normoglicemico il massimo dovrebbe essere invece 100 mg/dl. La diabetologa guardò gli esiti degli esami e disse: “Adesso dobbiamo ricoverarti”. Passai una notte in ospedale attaccata a una flebo di insulina. Così è cominciato tutto. All’inizio i medici pensavano che avessi il diabete di tipo 2, quello che colpisce più frequentemente in età come la mia, invece no: il mio è quello di tipo 1, quindi insulino-dipendente.
Tu cosa sapevi del diabete di tipo 1 prima della diagnosi? Sapevi che si trattava di una malattia cronica?
Non sapevo che potesse manifestarsi alla mia età, credevo inoltre che fosse legato a un fattore ereditario. A casa mia nessuno aveva il diabete, quindi per me è stato davvero motivo di stupore. Devo dire che quando è arrivata la diagnosi non ne ho sentito subito il peso, anzi, inizialmente ero sollevata, perché i medici mi avevano prospettato ipotesi peggiori, come appunto la Sla. Se inizialmente per me non è stato traumatico accettare la malattia all’esordio, se non ho vissuto una fase di rabbia o rifiuto che in molti attraversano, è stato per questo motivo. L’ho accettata, ma non conoscevo quante difficoltà quotidiane potesse comportare.
Come spiegheresti che cos’è il diabete di tipo 1 a chi non lo conosce?
È una patologia complessa, difficile da riassumere. Essendo una malattia cronica molto impattante sulla vita di chi ne soffre, diventa un compagno di vita, un coinquilino. Secondo me il diabete di tipo 1 è la malattia del coraggio, oltre che del controllo. Perché bisogna avere coraggio non solo di affrontarla (senza che sia garantito un supporto psicologico all’esordio), ma anche di cercare, e nella migliore di ipotesi riuscire, a essere indipendenti.
Ogni diabetico di tipo 1 deve prendere oltre cento decisioni terapeutiche al giorno, imparando a gestire e dosare insulina e glicemia tra controlli continui, numeri, pesature dei cibi, assunzione di zucchero in qualsiasi momento il corpo te lo chieda, notte compresa. Sei costretto a diventare il medico di te stesso, 24 ore su 24. Purtroppo alcune persone faticano a capire che il controllo non è un’ossessione, ma con questa malattia diventa un’assoluta necessità. Sono stata anche criticata per questo.
Che tipo di critiche ti muovevano?
Spesso mi sono sentita dire “ti ipercontrolli!”, perché magari misuravo tante volte la glicemia, oppure che drammatizzavo troppo. Purtroppo da quattro anni a questa parte questa è la nuova normalità e soprattutto all’inizio è stato ancora più complicato: dovevo imparare a conoscere il mio corpo in un modo diverso, dopo cinquant’anni. È difficile far capire alle persone che bisogna costantemente osservare l’andamento della glicemia dopo ogni pasto, per capire se la dose di insulina che ci siamo somministrati era giusta o meno (se eccessiva si va in ipoglicemia e si è costretti ad assumere zuccheri semplici, se esigua si va in iperglicemia e il nostro corpo necessita di un’altra dose di insulina). Inoltre molto spesso mi sentivo dare consigli su cosa dovessi mangiare. Ci sono molte credenze errate: come pensare che invece il problema siano i dolci, o che a ...[continua]

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