Tiziana Dal Pra è fondatrice di Trama di Terre, un’associazione interculturale di donne provenienti da tutto il mondo attiva a Imola dal 1997 con l’obiettivo di accogliere e costruire relazioni tra donne native e migranti, promuovere i diritti di autodeterminazione di tutte e contrastare le discriminazioni e la violenza maschile in tutte le sue forme.

Partiamo dalla vicenda di Saman Abbas. Vorremmo parlare dell’atteggiamento di una parte del femminismo e della sinistra, in particolare della paura di essere accusati di islamofobia, che crea una sorta di cortocircuito...
Quella di Saman è una storia in qualche modo già scritta e al contempo una storia che forse si poteva evitare alla luce del primo episodio analogo avvenuto in Italia: la vicenda di Hina Saleem, la giovane pachistana uccisa dai parenti. Davanti a questi fatti ci sono tante letture possibili: antropologica, generazionale, femminista... L’idea della libertà, di potersi muovere e realizzare come donne in maniera autonoma, non è un’idea occidentale, è un’idea di tutte le donne. Io ho trovato la storia di queste ragazze molto simile alla mia storia.
Certo, io non sono straniera, ma quando avevo dodici, tredici anni, vivevo nel Veneto fondamentalista, e tutto era bloccato, chiuso, sotto un forte controllo sociale, quello che oggi per queste ragazze viene definito controllo comunitario. C’era una specie di occhio gigante che osservava come vivevi tu e la tua famiglia, assicurandosi che nessuno uscisse dalle regole, anche se noi avevamo degli spazi di libertà. Questo per dire che sognare di diventare quello che desideriamo (anche se in età acerba non lo sappiamo ancora bene), di amare, di essere libere, autonome dalla famiglia, di scegliere il proprio lavoro, di decidere come vestirsi, come non essere toccate o essere toccate, è una storia delle donne che attraversa tutto il mondo: è universale.
Insomma, non è che improvvisamente ci sono le elette e poi ci sono queste poverette che, siccome vengono da paese abbruttiti, non hanno dentro questo seme di volontà di poter essere chi vogliono. Il fatto è che queste ragazze che vivono nei nostri territori, a differenza di quello che abbiamo vissuto noi in adolescenza (soprattutto in certe regioni, come Veneto e Sicilia), arrivano in un contesto dove questa libertà pare la si possa toccare e ottenere facilmente, pare essere a portata di mano, perché frequentano la scuola, perché conoscono altre realtà...
Quando hai cominciato a occuparti di matrimoni forzati?
Abbiamo fondato l’associazione “Trama di terre” nel 1997, con le donne migranti. All’epoca molte insegnanti ci raccontavano di queste ragazze che improvvisamente scomparivano. Erano magari bravissime, avevano amiche e una normale vita di relazione... dopodiché da un giorno non tornavano più a scuola.
Ho subito iniziato a interrogarmi su queste giovani; volevo capire cosa stesse accadendo e così, nel 2009, quando la regione Emilia Romagna mi ha chiesto se come associazione avessimo delle proposte, io che ho sempre cercato (e ancora credo che occorra fare così) di non proporre progetti pensati in base alle linee di finanziamento ma di trovare finanziamenti per progetti reali e “necessari”, ho suggerito di indagare sui matrimoni precoci, su quelli combinati e su quelli forzati.
Abbiamo così svolto una prima ricerca insieme a delle mediatrici culturali. Mi sono anche recata in Marocco perché quello era il paese da cui proveniva il maggior numero di donne straniere in quel momento in Emilia Romagna. Lì abbiamo iniziato a capire dove stesse la radice del problema: perché queste ragazze subivano ancora questi matrimoni forzati quando nel 2004, con il nuovo diritto di famiglia, era stata promulgata una legge che li rendeva illegali? Ecco, una delle cose che ho imparato e riscontrato in tutte le società, compresa la nostra, è che non basta promulgare le leggi: se queste non vengono poi recepite dalla società come un bisogno e un diritto, sono destinate a essere aggirate con mille stratagemmi.
Nel 2011, dopo i primi convegni sul tema, Action Aid ci ha proposto un progetto sulle seconde generazioni, finanziato dalla fondazione Vodafone. Abbiamo così potuto dare continuità al tema dei matrimoni forzati. Abbiamo aperto la prima casa rifugio per ragazze in fuga da matrimoni forzati e da tutte le limitazioni delle libertà personali, dal controllo familiare e comunitario.
La condivisione della quotidianità con queste donne mi ha permesso di approfo ...[continua]

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