Francesca Izzo ha insegnato Storia delle dottrine politiche e Filosofia della politica all’Università l’Orientale di Napoli. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Istituto Gramsci ed è tra le fondatrici del movimento “Se non ora quando”.

Da tempo nel nostro paese si attende una legge che contrasti l’omofobia e la transfobia, oggetto del ddl Zan ora in discussione. In una parte del mondo femminista, e non solo, sono emerse tuttavia delle perplessità rispetto all’attuale formulazione del disegno di legge. Puoi spiegare?
L’Italia è un paese con radicati sentimenti di avversione e anche di disprezzo per omosessuali e transessuali e quindi condividiamo la necessità di una legge che estenda delle specifiche tutele a queste persone.
Il problema è che fin da subito aprire una discussione si è rivelato molto difficile, sono mancate le sedi di un confronto serio, pacato, in cui indagare anche le implicazioni di alcune formulazioni. Si tratta infatti di questioni all’apparenza molto semplici ma che invece sono complesse. Nel nostro paese vige una lunga tradizione per cui, in questi casi, si è sempre cercato di trovare la più larga condivisione. Guai a trasformare queste questioni, che sono di civiltà, in contrapposizioni di schieramento. Lo considero, questo, un errore molto grave che invece le forze presenti in parlamento stanno compiendo.
Ma veniamo ai punti di perplessità della legge, che c’erano già in origine. Cos’è che ha creato disagio e dubbi all’interno di ambienti che sono sempre stati solidali e hanno condiviso queste battaglie? Io faccio parte di un’associazione che si chiama “Se non ora quando-libere” che, quando fu presentato il disegno di legge alla Camera, inviò una lettera ai parlamentari dello schieramento progressista, sottolineando quello che era un nodo critico per noi. È la questione dell’identità di genere. Si tratta infatti di un termine molto ambiguo, sottoposto a un dibattito culturale, accademico, molto intenso, e che suscita problemi non da poco; metterlo in una legge ci sembrava un azzardo: perché non mettere la cosa più precisa, e cioè identità transessuale? In fondo è un disegno di legge contro l’omofobia e contro la transfobia, quindi riguarda le persone omosessuali e transessuali, perché non indicarlo esplicitamente?
La distinzione tra il sesso con cui veniamo al mondo e il genere, cioè il ruolo sociale, è una conquista del movimento delle donne...
Il termine “genere” è stato molto usato dal femminismo per indicare quella serie di comportamenti, ruoli, stereotipi, che nel corso dei secoli, se non millenni, sono stati attribuiti al sesso femminile. Le donne erano destinate a certi ruoli, a certe funzioni; le donne erano quelle che rappresentavano la natura rispetto alla cultura, il sentimento rispetto alla ragione e poi erano quelle che si dovevano occupare della cura… Cioè le donne, in quanto sesso femminile, erano quella cosa lì, dovevano per forza essere madri, eccetera.
Con fatica, piano piano, per indicare la distinzione tra le donne e questi ruoli e funzioni, si è iniziato a parlare di sesso femminile e genere femminile. Quindi l’identità di genere è quella che ha a che fare con i comportamenti esteriori, il modo di essere, di vestire, tutto quello che la cultura ci ha costruito addosso. Questi concetti sono stati strumenti importanti nella lotta per affermare il fatto che una donna potesse essere anche un’astronauta, tanto per capirsi.
Ora, questo termine “genere”, soprattutto nel mondo anglosassone, ha cominciato a cambiare di senso. In ambiente anglofono, “gender” ha cominciato a occupare sempre più spazio fin quasi a sovrapporsi al sesso e infine a soppiantarlo.
Questo è avvenuto in concomitanza con l’imporsi, nel dibattito culturale e accademico, di una linea di pensiero e di sviluppo di un femminismo -mi verrebbe da dire- sempre meno femminista. In base a questa elaborazione, fare riferimento al sesso, oltre a essere qualcosa di biologistico, afferma un binarismo, cioè la divisione del genere umano in donne e uomini, che impedisce il riconoscimento pieno e quindi la non discriminazione di tutte quelle categorie di persone che non hanno un comportamento che rientra nelle categorie uomini/donne. Una delle principali teoriche di questo pensiero è Judith Butler.
Date queste premesse, non resta che scardinare l’impianto definito binario, così da poter affermare la piena eguaglianza e il riconoscimento di tutte quelle figure e comportamenti che n ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!