Donato Cioli, medico, ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, da anni si interessa degli acquedotti romani.

Lei da anni si interessa di acquedotti romani, anche recandosi a visitarne i resti.
È una passione che risale ormai a parecchi anni fa. Al ritorno da un lungo soggiorno come ricercatore negli Stati Uniti, avevo ritrovato un paese bellissimo e quasi nuovo per me: come avevo potuto dimenticare che l’Italia era così bella! Io sono toscano, ecco, vedere le campagne, ritrovare le case coloniche di pietra coi loro tetti rossi... Così, nei primi anni, era diventata quasi una mania andarmi a rivedere tutte le bellezze dell’Italia, anche le piccole cose, il ricordo storico, magari dimenticato, abbandonato. Assieme a mia figlia andavamo spesso a fare delle passeggiate e mi aveva colpito, camminando per i boschi, trovare delle rovine romane imponenti, resti di acquedotti veramente giganteschi, spesso abbandonati in mezzo alla vegetazione... Così, era diventato un divertimento andare da una vallata all’altra per scoprire il tragitto di quel certo acquedotto, oppure vedere dove si innescava la presa d’acqua. Poi ho scoperto che a Roma c’era un’associazione di giovani che, per hobby,  durante il weekend andava in giro a cercare questi resti. Mi sono dunque aggregato a questo "Centro Ricerche Speleo Archeologiche” (sotterraneidiroma.it), associazione organizzata e diretta da un ragazzo  bravissimo, Marco Placidi. L’incontro con questi giovani ha cambiato la mia prospettiva perché magari da solo non me la sentivo di scendere in un pozzo profondo...
Bisogna infatti sapere che gran parte degli acquedotti sono sotterranei. Nel percorso di un acquedotto romano l’80% della sua lunghezza è sottoterra; solo un 20% è arcate, sostruzioni o opere visibili. Ho pertanto imparato anch’io a fare la progressione su corda, la discesa, la risalita... Si chiama speleologia urbana: lo scopo è quello di visitare e mappare questi luoghi sotterranei. Trovo molto bello che dei giovani scelgano di trascorrere i fine settimana andando in giro per boschi o infilandosi in questi acquedotti sotterranei. Sono ragazzi normali che cercano di capire quello che vedono, di ricostruire, non solo la topografia, la meccanica, ma anche la storia di questi monumenti. È un’esperienza molto coinvolgente. 
Gli acquedotti sono una delle manifestazioni della grandezza della civiltà romana.
Strade, acquedotti, aggiungerei anche le cloache, sono il vero nerbo tangibile della civiltà romana. Naturalmente gli storici citeranno il diritto romano o l’esercito, però io penso che gli acquedotti, con l’ovvia appendice delle terme, delle fontane, siano una delle opere che meglio rappresentano questa civiltà. Pensi che nella città di Roma c’erano ben undici acquedotti diversi che venivano da luoghi disparati. Uno di questi, l’Acqua Marcia, era lungo 91 km! Complessivamente c’erano a Roma 500 km di acquedotto; 500 km, quasi la distanza Roma-Milano, di tunnel e arcate che servivano solo per portare l’acqua. Un’impresa assolutamente grandiosa, straordinaria.
Questo per quanto riguarda la città di Roma, che naturalmente era quella meglio servita. Ma un po’ in tutto l’Impero, in Africa, in Asia minore, in Gallia, in Germania, gli acquedotti erano il segno distintivo dell’arrivo della civiltà romana. Alcuni tra i più belli sono in Turchia, ma anche in Europa ce ne sono di magnifici.
A Roma, il primo fu costruito nel 312 a.C., da quello stesso Appio Claudio Cieco che costruì la via Appia; un acquedotto relativamente breve, di cui oggi rimangono purtroppo pochissimi resti, era lungo meno di 20 km, ma era il primo acquedotto. Poi venne l’Anio Vetus, 272 a.C., il primo grande vero acquedotto. E poi man mano tutti gli altri. Gli acquedotti venivano per lo più dalla valle dell’Aniene, alcuni arrivavano anche da Bracciano, dal lago di Martignano, da posti ricchi di acque. 
Io trovo che gli acquedotti abbiano sostanzialmente tre motivi di interesse. Il primo motivo è estetico: sono belli. Il secondo è un motivo tecnologico: sono capolavori di ingegneria. Infine c’è un motivo storico-letterario perché esiste un testo latino di un autore che si chiama Frontino, che per fortuna è arrivato fino a noi, perché è una testimonianza molto importante. All’epoca di Frontino gli acquedotti erano solo nove, altri due furono aggiunti dopo la sua morte. Ecco, in quel testo lui ha descritto minutamente gli acquedotti della sua epoca. È una grande em ...[continua]

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