I fratelli Mimma e Marco Battisti sono gli unici nipoti ed eredi di Cesare Battisti. Mimma, insegnante, è stata per 10 anni assessore alle politiche sociali del Comune di Bolzano. Marco, economista, vive tra Trento e il Mozambico dove promuove da tempo attività di cooperazione. Nel 1983 hanno messo a disposizione del Museo Storico di Trento la biblioteca, l’archivio e l’arredo dello studio del nonno.

Potete raccontarci di vostro nonno, Cesare Battisti?
Marco. Noi non l’abbiamo mai conosciuto, per cui la figura di Cesare Battisti ci è stata trasmessa dalla nonna, da nostro padre, dalla zia Livia e da persone amiche di famiglia che frequentavano la casa. Potremmo incominciare proprio dalla casa di Cesare Battisti, beninteso in affitto...
Noi ci siamo entrati dopo la guerra, al rientro in Italia.
Mimma. Eravamo in Svizzera, fuor mandati, come diceva mia nonna, cioè non "fuor usciti”, ma proprio fuor mandati, o meglio scappati ai nazisti, il 10 settembre del ’43…
La casa è in corso 3 Novembre a Trento e all’epoca ci vivevano Cesare, la moglie Ernesta, i tre figli e una sorella della nonna, Rosa, che è stata molto vicina a questi bambini Battisti perché la nonna era molto impegnata nella vita politica e sociale di Cesare. In questa casa Marco e io siamo arrivati nell’estate del ’45. Il nostro papà, Gigino, figlio di Cesare, era diventato sindaco di Trento, nominato dal Comitato Nazionale di Liberazione. Purtroppo in questa casa siamo anche diventati presto orfani perché il nostro papà è morto nel dicembre del ’46. Questa casa era quindi segnata dal dolore di due lutti molto pesanti.
Il cognome Battisti noi l’abbiamo sentito subito con tanto orgoglio, ma abbiamo capito altrettanto presto che dovevamo averne rispetto, nel senso anche di non usarlo per trarne vantaggi personali. Ricordo che già da piccola, la zia Livia mi diceva: "Io sono la signorina Battisti senior, tu, Mimma, sei la signorina Battisti junior. È importante che tu ricordi che ti chiami Battisti, ma è importante per te, non per gli altri”. Perciò questo cognome l’ho sempre sentito come un impegno morale e civile.
Aggiungo che in questa casa eravamo liberi pensatori, non avevamo una religione, o meglio una chiesa dove inginocchiarsi. Questo era uno dei motivi per cui i trentini -tradizionalmente molto clericali, bigotti- ci tenevano lontani.
Marco. A me fu la nonna a dire: "Tu sei un Battisti per te, e non per gli altri”. E lo disse in un modo che me lo sono ricordato per tutta la vita.
Ma ci chiedevi chi era Cesare Battisti. Dai racconti emerge innanzitutto una straordinaria capacità di lavoro, una forza fisica, intellettuale…
Mimma. La nonna ci raccontava che lui guardava l’orologio e diceva: "C’è un quarto d’ora di tempo, riesco a dormire dodici minuti”. E si addormentava dodici minuti!
Marco. Capitava che si alzasse la mattina alle quattro, facesse venti chilometri in bicicletta per arrivare sotto una montagna, dove si trovava con i compagni socialisti, con delle guide alpine, per fare una scalata di mille metri solo per studiare una cosa di geografia… la sorgente di un torrente.
Era anche un geografo.
Marco. Era un geografo, un giornalista e un politico. Aveva cominciato giovanissimo, al liceo, a fare un giornaletto per i compagni pubblicando articoli di autori italiani di storia, letteratura e scienze, ignorati dalla scuola asburgica del Trentino. Da allora si era impegnato nella difesa dell’italianità del Trentino e, se non era possibile la sua unione all’Italia, rivendicava la sua piena autonomia nell’ambito del semi-feudale Impero asburgico. In seguito aveva compiuto studi geografici, ma anche antropologici, sociologici, sul Trentino. Si era laureato a Firenze con una tesi su geografia e antropologia del Trentino. E poi faceva gli studi delle valli.
Il tutto con l’intento di far conoscere il Trentino ai trentini. Nella battaglia politica per l’autonomia del Trentino all’interno ­dell’Impero doveva dare a tutti i trentini delle valli una dimensione di comunità, di collettività, di coesione. Si trattava anche di spezzare la duplicità tra la città e la valle. In città c’era una borghesia, incominciava a esserci qualche fabbrica, c’era una classe operaia che iniziava a partecipare alla vita politica; le valli invece restavano di dominio clericale, del Partito Popolare di Degasperi. Ecco allora l’idea di organizzare delle gite in bicicletta da Trento a Predazzo, per esempio. Coinvolgeva i giovani studenti, i figli della ...[continua]

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