Andrea Carinci, avvocato, già consulente della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, è professore straordinario di Diritto tributario all’Università di Bologna.

Il tema è quello del rapporto fisco-cittadini, che sembra svolgersi all’insegna di una mutua diffidenza, se non di aperta ostilità.
Lo stato per vivere, per funzionare, ha bisogno di soldi e quindi il credito fiscale è sempre stato considerato meritorio di un trattamento speciale rispetto ai crediti di qualsivoglia creditore. Ciò giustificava anche l’attribuzione di poteri straordinari al soggetto incaricato di riscuotere. Oggi abbiamo Equitalia, prima avevamo le concessionarie della riscossione, gli esattori, i pubblicani. Laddove c’è un collettività organizzata, ci son sempre stati tasse, tributi e un soggetto incaricato di riscuoterli dotato appunto di poteri speciali. Ovviamente il potere speciale è sempre visto come un’alterazione di un sistema, quindi è sempre stato percepito dal cittadino, dal consociato, ai limiti del sopruso perché effettivamente sono poteri particolari, aggressivi, immediati.
Le stesse possibilità previste per difendersi da un creditore generico spesso vengono meno nei confronti del soggetto incaricato di riscuotere i crediti pubblici.
Uno dei fattori che mina la fiducia nell’amministrazione è il fatto che il credito è subito esigibile, anche se viene contestato. Può spiegare?
Quando lei subisce una richiesta dall’autorità tributaria, l’Agenzia delle entrate, che le notifica un atto, un avviso di accertamento in cui richiedono un’imposta, se anche lei intende difendersi andando in giudizio, contestando la legittimità di questo atto, in ogni caso un terzo della somma che le viene richiesto deve essere pagata subito.
Comunque e anche esecutivamente, nel senso che quel terzo viene affidato in riscossione al soggetto incaricato, Equitalia, il quale può procedere a riscuoterlo, anche se la pretesa è, come si dice, sub iudice. Se il contribuente poi vince, quel terzo ovviamente andrà restituito. Il problema è che qui si entra in una prospettiva temporale abbastanza indeterminata, perché occorre il passaggio in giudicato della sentenza e poi bisogna attendere i tempi tecnici che l’autorità pubblica impiega a restituire i soldi; tempi che di solito sono molto lunghi.
Qui c’è subito una sperequazione: quando i soldi li deve restituire lo Stato, ci mette tempi lunghi, molto lunghi, quando li deve restituire il contribuente lo deve fare in tempi molto rapidi.
Ora, ciò che ho descritto è sempre stato così. Quel che invece sta cambiando, che è sicuramente figlio di uno stato di crisi finanziaria che ha reso il ricorso al tributo una necessità impellente, è una visione per cui l’evasione, il sottrarsi al debito tributario, viene vista come una criticità estrema; la reazione dell’ordinamento dello Stato sta diventando sempre più forte, più intensa; ormai l’evasore, in termini di disvalore, viene messo dall’ordinamento su un livello pari a quello dei delitti più efferati.
La sanzione all’illecito tributario può essere tributaria-amministrativa, con pagamento di sanzioni che possono raddoppiare l’imposta, per cui se lei ha un’imposta di cento, le possono comminare una sanzione fino a duecento, triplicando il debito. Ma poi ci sono anche sanzioni penali, peraltro con delle soglie di punibilità molto basse, per cui si arriva al parossismo che per una fattura inesistente (il cosiddetto illecito di dichiarazione fraudolenta), anche per pochi euro, lei va incontro al penale.
Il decreto legislativo di riforma al sistema penale tributario prevede che la soglia sia mille euro, che è comunque una soglia bassa. In una logica di reazione penale è sproporzionata.
L’evasione è vista come un infingimento dell’accordo, del patto sociale, naturalmente grave, e che giustifica una reazione dell’ordinamento aggressiva nei confronti del trasgressore: mi sono sottratto all’obbligo delle pubbliche spese e l’ordinamento reagisce al mio inadempimento in modo molto violento. Ecco, qui c’è anche proprio un elemento psicologico che si apprezza molto nella giurisprudenza. Cioè si avverte che nella testa dei giudici l’evasore è diventato un soggetto da trattare con particolare severità, ma soprattutto con una sorta di presunzione di colpevolezza. Arrivando all’assurdo che uno stupratore seriale può fruire di una presunzione di innocenza, mentre per il contribuente c’è la presunzione di evasione, di colpevolezz ...[continua]

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