Roberto Bin è professore ordinario di diritto costituzionale all’Università di Ferrara; è autore, con G. Petruzzella, dei volumi Diritto costituzionale, Diritto pubblico e Le fonti del diritto, Giappichelli Editore, 2013; della guida Come si studia il diritto, Il Mulino, 2006. Vive a Bologna.

Parliamo delle riforme istituzionali, quindi di quella del Senato innanzitutto. Uno degli aspetti più dibattuti è l’elezione diretta o indiretta. Che ne pensa?
Mah, è un po’ buffo che si discuta ancora di questo tema come se fosse un inedito. Che io mi ricordi, una discussione seria sul Senato delle Regioni risale ai primi anni Novanta. Ricordo un convegno organizzato dall’allora presidente della Regione Toscana Vannino Chiti (era il 1995) in cui io stesso svolsi una relazione sul modello del Bundesrat, che già a quei tempi era l’obiettivo di tutte le regioni, compresa la sua. Per cui mi preoccupa che oggi, a distanza di più di vent’anni, si arrivi a dire che non si è riflettuto abbastanza. Chi non ha ancora riflettuto abbastanza non deve proprio farsene un vanto né pretendere di rinviare una riforma che andava fatta da tempo.
Non c’è nessun Paese, fra quelli di riferimento, che voti direttamente il proprio Senato, eccezion fatta per gli Stati Uniti, e solo dal 1913: comunque non è certo una realtà comparabile con quelle di questa sponda dell’Atlantico. E se qui non ci sono Senati direttamente eletti, ci sarà un motivo! Il motivo è semplicemente che in tutti i sistemi, sia pure con soluzioni diverse, la funzione del Senato non è quella di rappresentare la collettività, che è compito della camera bassa, quella "politica”, ma di rappresentare il sistema delle autonomie, cioè di quelle istituzioni che -in Italia- governano il 60-70% del Pil. Non dimentichiamolo: il Pil è speso in larga parte nel territorio e l’idea di avere un sistema decisionale tutto concentrato a Roma, che produce le leggi ignorando le esigenze e le capacità dei territori, è pura schizofrenia istituzionale. Per cui, se si vuole discutere di riforme sul piano razionale, non c’è che una strada da prendere, quella di un Senato che rispecchi il sistema delle autonomie. L’alternativa, una "seconda scelta” che anch’io ho sostenuto in passato, è quella di abolire il Senato e pensare ad altre forme di raccordo. Ma i raccordi vanno stabiliti e devono incidere sulla formazione delle leggi dello Stato. Il centro non deve concentrare su di sé il potere decisionale, perché questa soluzione -che in Italia ha sempre dominato- è inefficiente e sbagliata.
Il Bundesrat tedesco -che viene chiamato "seconda camera”, ma che non lo è tecnicamente- è un istituto, di origine feudale, che rappresenta direttamente le realtà federate tramite i loro governi ed è il sistema più efficiente che si conosca in Europa. Anzi, è il sistema adottato anche dall’Unione europea, in cui il potere legislativo è condiviso dal Parlamento e dal Consiglio, in cui siedono i ministri degli Stati membri.
Quindi, per essere espressione diretta delle realtà territoriali e non di appartenenza alle varie forze politiche nazionali la rappresentanza della regione in Senato deve, come dire, manifestarsi attraverso un’espressione di voto pre-concordata prima…
Sì, perché il problema è che se si vogliono rappresentare i territori, si devono rappresentare gli interessi territoriali, non riprodurre a livello nazionale le discussioni politiche che si svolgono in loco e che per lo più non sono che la riproduzione in sedicesimo delle polemiche politiche nazionali.
Il sistema verso cui si sta andando, invece, dopo varie mediazioni e accordi, è proprio quello di riproporre un modello "politico” anche per il Senato, tant’è che si parla di elezioni proporzionali per liste, che si presenteranno con gli stessi contrassegni dei partiti nazionali e l’indicazione dei candidati -consiglieri regionali e sindaci- di ogni partito. Come si organizzeranno i gruppi parlamentari del Senato? Per partito o per regione? Il rischio -anzi, la conseguenza inevitabile- è che un Senato eletto dai consiglieri regionali in questa maniera si dividerà nel gruppo dei senatori Pd, quello dei Pdl e così via: a questo punto bisognerà spiegare a questi signori -tra cui saranno numerosi i vecchi elefanti della politica nazionale e locale- perché, se messi lì a fare politica, non potranno votare la fiducia al Governo. E siccome questo non lo digeriranno facilmente, romperanno le scatole su ogni cosa che sarà politicamente rileva ...[continua]

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