Luigi Rambotti, consigliere comunale verde di Foligno, è stato impegnato in prima persona nell’organizzazione di uno dei campi di Foligno.

A Foligno com’è stata fronteggiata l’emergenza terremoto?
Qui il terremoto, paradossalmente sembra aver fatto emergere soprattutto gli aspetti positivi della cultura umbra, mi riferisco in particolare a quel senso civile che ha tradotto i provvedimenti amministrativi in intervento immediato.
Bisogna poi riconoscere che in fondo siamo stati fortunati, perché una serie di coincidenze ha ridotto al minimo il numero delle vittime: la scossa più forte, quella della mattina del 26 settembre, era stata preavvisata da una scossa del nono grado nella notte, e da altre due scosse del settimo, ottavo grado nel corso della mattinata. Le vittime sono state tredici o quattordici, che per un sisma con queste caratteristiche sono un numero limitato. A Nocera, per esempio, avrebbero potuto esserci decine di morti, invece nella disgrazia qualcosa di buono c’è stato. Bisogna anche considerare che il terremoto ha colpito in maniera più cattiva, se si può dire così, la popolazione della montagna, quindi dell’appennino umbro-marchigiano e in maniera diversa gli abitanti delle zone della valle umbra.
Qui l’amministrazione comunale ha preso la decisione, che io peraltro condivido, di non separare i nuclei territoriali, le collettività, le comunità, ha deciso cioè di non ridurre al minimo il numero dei campi, scelta che avrebbe costretto la gente ad allontanarsi dalle proprie case. Certo, tutto questo comporterà dei costi più alti, ma del resto, se le cose devono ripartire, si ricomincia con le persone che vivono qui e che, a mio avviso, hanno risposto in maniera impensabile. In particolare, i tantissimi giovani, perlopiù non organizzati, che sono venuti spontaneamente su scelta individuale a dare una mano, hanno dimostrato oltre ad un altruismo di tipo sentimentale, anche notevoli capacità pratiche.
Qui il campo è stato organizzato con tende e roulotte, oltre alla presenza nella fase acuta, di 220, 230 persone nel Palazzetto dello sport, che poi è stato progressivamente svuotato e liberato anche per far ricominciare le attività pubbliche. Il Palazzetto è la sede di una società sportiva, e di varie associazioni, quindi era giusto, anche come segnale psicologico, una volta trovata la soluzione idonea, farvi ricominciare le attività. Purtroppo, gli ultimi rimasti, e questi sono gli aspetti più tristi, erano le persone sole, i malati, per cui si è cercato di avere la massima umanità e attenzione per loro.
Puoi raccontare la tua esperienza al campo?
Io sono stato uno dei responsabili del campo di Foligno, ossia il Santo Pietro, che è la località dove sono situati tutti gli impianti sportivi del comune di Foligno, e dove sono rimasto per un mese e mezzo. In realtà, la scelta dei responsabili resta un mistero, perché non si è capito di chi fosse di competenza, non c’erano normative in proposito, e io personalmente mi sono ritrovato, dopo cinque o sei giorni che stavo lì, ad accettare di condividere le responsabilità di gestione con un amico, Mauro, che mi aveva chiesto di aiutarlo. Nel Palazzetto dello sport è stata organizzata la prima accoglienza, in particolare per gli anziani, i malati. Intorno al palazzetto è partito il primo campo grande della città, pensato per la zona di pianura.
Nel nostro campo sono confluiti gli abitanti del centro storico e quindi è stato un campo particolare, anche per la presenza di diversi extracomunitari; dal conteggio esatto è emerso che verso la fine di ottobre c’era il 25, 26% di extracomunitari. Questo per una ragione molto semplice: molte famiglie di extracomunitari abitavano nel centro storico, spesso con affitto in nero, in condizioni precarie: dieci persone in un appartamento che magari ne poteva ospitare tre o quattro. Devo ammettere, però, che non si sono verificati problemi di ordine pubblico significativi, nonostante certi episodi di insofferenza da parte di alcuni folignati che si sono scandalizzati: "Ah, danno da mangiare agli zingari!". Che poi non erano affatto zingari, bensì marocchini, albanesi, macedoni, maghrebini... Comunque, a parte questo, la convivenza è stata buona, abbiamo anche fatto una festa per la nascita di Zaccaria, un bambino marocchino nato nel campo, cui hanno contribuito anche i negozi di Foligno, le pasticcerie. C’è stato anche un ragazzo marocchino come responsabile della cucina, venuto da Genova. Insomma a Foli ...[continua]

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