Jean Philippe Béja, sinologo, laureatosi all’Università di Liaonning in Letteratura Cinese, ha conseguito un PhD di Studi Asiatici all’Università Paris VII; è stato Direttore Scientifico del Centro Studi francesi sulla Cina Contemporanea a Hong Kong dal 1993 al 1997, e membro dell’Editorial Board di China Perspectives and Perspectives chinoises. Oggi lavora presso il Ceri, Parigi. Recentemente ha pubblicato A la recherche d’une ombre chinoise : Le mouvement pour la démocratie en Chine (1919-2004).

Nel tuo ultimo lavoro ripercorri la storia del movimento democratico in Cina che, pur avendo avuto un andamento carsico, mette comunque in discussione la tesi secondo cui ci sarebbe una sorta di incompatibilità tra la cultura cinese e la democrazia. Puoi parlarne?
Anche se non è mai arrivato al potere, un movimento democratico cinese esiste da almeno un secolo. Io quindi contesto l’idea di alcuni osservatori e analisti per i quali la democrazia sarebbe incompatibile con la cultura e la storia cinese, con l’immensità della sua popolazione, con la tradizione burocratica, ecc. Pur non essendo una tradizione indigena, infatti, questo movimento ha comunque assunto un ruolo e una visibilità a partire dall’inizio dello scorso secolo. Detto questo, va anche riconosciuto che dopo le vicende del 4 giugno 1989, quando tutto il mondo occidentale ha potuto vedere le immagini della repressione degli studenti con i tank in piazza Tiananmen, la Cina è ricaduta in una fase di riflusso.
Oggi non esiste un movimento democratico organizzato, e la stessa coscienza, intesa come rivendicazione politica, non è molto diffusa nella popolazione cinese, né nelle città, né nelle campagne. Questo arretramento ha diverse spiegazioni, non ultima il fatto che dopo la repressione dell’89 è diventato molto rischioso mettersi a criticare il governo.
In secondo luogo, va precisato che la rivendicazione democratica in Cina è sempre stata soprattuto rivendicazione per le libertà fondamentali, quindi libertà di espressione, di pubblicazione, di associazione, di manifestazione. E’ per questo che gli intellettuali hanno seguito gli studenti nel movimento.
Questa è una peculiarità del movimento per la democrazia fin dalle sue origini. La manifestazione studentesca del 4 maggio 1919, che possiamo prendere come punto di partenza di questo movimento, ha già in sé alcune delle caratteristiche ricorrenti in questa vicenda. Intanto il desiderio, la volontà di far venire in Cina la scienza e la democrazia, ovvero la cultura moderna. Gli intellettuali erano infatti convinti che per modernizzare la Cina bisognava liberarsi del confucianesimo, considerato all’origine dell’arretratezza nazionale.
Però c’era anche un altro aspetto, causa diretta di quella manifestazione. Premesso che il movimento del 4 maggio (che prende il nome dalla manifestazione svoltasi appunto nel maggio del ‘19) designa in realtà un periodo che comincia nel 1915 e finisce più o meno nel ‘27; ebbene quella manifestazione era nata per protestare contro il Trattato di Versailles, con cui, tra l’altro le concessioni tedesche venivano trasferite al Giappone, nonostante anche la Cina fosse stata con gli alleati. Il motivo diretto del Movimento del 4 maggio, che nasce con obiettivi anti-imperialistici e di riforme sociali e politiche è il fallimento diplomatico subito dalla Cina alla Conferenza di pace di Parigi.
Un movimento quindi fortemente patriottico, teso a restituire alla Cina la sua indipendenza e la sua posizione sulla scena internazionale attraverso appunto la scienza, per modernizzare l’economia, ma ancor di più grazie all’introduzione della democrazia, che è il sistema politico adatto alla modernità. Questo per dire che da sempre nell’intellighenzia cinese c’è anche questa visione un po’ strumentalizzata della democrazia per far vincere il patriottismo.
Dicevi che la democrazia, specie dagli intellettuali, sarebbe intesa principalmente come tutela delle libertà fondamentali. Esiste anche una rivendicazione “un uomo un voto”?
E’ una questione complessa. Il partito ora ha organizzato delle elezioni a livello locale. E’ stato fatto l’esempio di Taiwan: partiamo dalla democrazia locale per arrivare alla democrazia a livello nazionale. Il discorso sul voto nel movimento per la democrazia e anche tra gli intellettuali, insomma, è diffuso.
Tuttavia resta un problema legato alla cosiddetta “qualità” del popolo, che è bassa. Allora, il principio delle elezioni è accettato ...[continua]

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