Fabrizio Tonello insegna Storia e istituzioni dell’America del Nord all’università di Padova.

Che considerazioni possiamo fare sull’esito delle elezioni presidenziali americane?
Partiamo pure dai numeri, perché i giornali di tutto il mondo, in particolare quelli italiani, hanno mostrato poco rispetto per i numeri di queste elezioni. Il giovedì subito dopo le elezioni, il 4 novembre, i quotidiani riportavano degli schemini, delle cartine su come l’elettorato americano si era diviso, che chiaramente erano stati compilati senza alcun rispetto per la matematica. La stessa partecipazione al voto, che è stata definita storica, eccezionale, con code ai seggi, pur essendo stata più alta rispetto ad altre elezioni, in realtà pare non abbia affatto raggiunto e superato questa soglia mitica del 60% di cui si è parlato.
Addizionando stato per stato (tra l’altro con dei dati provvisori, perché negli Stati Uniti c’è questa bizzarria che i voti non sempre vengono contati), si ottiene una percentuale di partecipazione al voto corrispondente a circa un 58%, che è una cifra elevata, forse la più elevata dal 1968, però non è un record storico e poi comunque è una cifra che non permette di parlare di “mobilitazione”. In fondo il 42% degli americani è rimasto a casa.
Parliamo di un paese in cui la democrazia funziona con tre cilindri, anzi con due.
Va poi rilevato che anche queste elezioni sono state dominate da un flusso di denaro spaventoso. Ogni campagna elettorale americana batte il record di quella precedente per quanto riguarda le spese. Io non ho ancora visto le cifre esatte, ma comunque sono torrenti di denaro, investiti quasi sempre in pubblicità negativa e calunniosa.
I repubblicani hanno attaccato visceralmente Kerry su quello su cui lui puntava, il fatto di essere un vero eroe di guerra pluridecorato che dopo essere tornato in patria aveva scelto di opporsi alla guerra in Vietnam. Hanno creato una serie di gruppi collaterali che hanno prodotto libri, documentari televisivi, siti internet interamente basati su menzogne per screditare Kerry che, effettivamente, in agosto e settembre, ha sofferto molto nei sondaggi.
Eppure era seguita una fase di ripresa che aveva fatto sperare i sostenitori di Kerry. Cos’è successo invece?
In effetti, con l’inizio dei dibattiti, Kerry ha dimostrato di avere uno spessore come personaggio politico; spessore che ovviamente Bush non ha.
La stessa stampa americana, che è molto ondivaga, improvvisamente ha scoperto che era un candidato decente. Infatti l’ultimo mese di campagna elettorale, Kerry ha avuto buona stampa. Anche i tre network televisivi maggiori si sono schierati a suo favore, molto più di quanto non avessero fatto con Al Gore nel 2000.
Infine c’è stata questa mobilitazione eccezionale di giovani, musicisti, con Michael Moore, il miliardario Soros, ecc, per cui tutti pensavano che la partecipazione al voto avrebbe sostanzialmente fatto vincere Kerry
Insomma, verso le tre del mattino siamo tutti andati a dormire pensando che ce l’avesse fatta.
Invece no. E in realtà io credo che le ragioni fondamentali della sua sconfitta fossero tutte lì, sul tavolo.
Cominciamo dalle cose meno importanti: Kerry è un senatore miliardario, del Massachusetts, sposato con una straniera. Ecco, questi elementi non possono che sfavorirti nell’America profonda: negli stati del Sud Kerry infatti è stato fin da subito percepito per quello che era, ovvero uno diverso da loro, diverso da quelli che tirano avanti faticosamente facendo i camionisti piuttosto che gli operai dell’edilizia, o altri mestieri.
La divisione regionale negli Stati Uniti, a cent’anni e più dalla guerra civile, è ancora estremamente presente. Basti pensare al fenomeno Howard Dean, che ha dominato le primarie, e che era il governatore del Vermont, che molti americani pensano sia in Canada.
Insomma, sia politicamente che geograficamente, era un candidato con zero possibilità.
Kerry era un po’ più strutturato come candidato, però comunque viene da una zona del Paese che di per sé lo rende poco credibile nelle grandi praterie e in tutto il Sud.
Ora, il Sud demograficamente è cresciuto in maniera enorme negli ultimi 40 anni. Se gli stati in cui Nixon prevalse contro Kennedy nel ’60 avessero avuto la popolazione che hanno oggi, Nixon sarebbe diventato presidente. Siccome si tratta di un’elezione di secondo grado, in cui contano gli stati, gli stati più grossi hanno più voti.
Già una decina di anni ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!