Occupandosi della flessibilità lei ha denunciato la quasi assenza di indagini sui costi umani…
Praticamente non se ne parla. Per la mia ricerca ho raccolto centinaia di articoli sulla flessibilità, moltissimi testi e ho potuto constatare che, tranne alcune recenti ricerche sul campo, in generale l’idea stessa che la flessibilità abbia un costo è del tutto estranea a questo tipo di discussione.
Premetto che richiamare l’attenzione sui costi della flessibilità non significa affermare che l’organizzazione tradizionale del lavoro, gerarchica, tayloristica, non ne avesse. Anche quella aveva i suoi costi, come ce l’hanno questi nuovi modelli, ma ora non se parla, mentre in quegli anni se ne parlava molto. Sui guasti del taylorismo, sulla separazione tra attività intellettuale e manuale c’è una letteratura sterminata. Invece, per quanto riguarda i nuovi modi di lavorare, sembra che tutto sia soltanto oro luccicante. In realtà i costi ci sono e andrebbero valutati un po’ più da vicino.
Naturalmente, parlare di costi della flessibilità non significa ignorare che in un certo numero di casi, per certe modalità di lavoro, per certe fasce di età, la flessibilità può essere utile e interessante.
Resta il fatto che se lo è per il 20-30% dei lavoratori, lo è molto meno per il 70-80% che non può scegliere e vede il proprio futuro sempre più precario.
Tra gli oneri più pesanti c’è proprio la difficoltà di progettare il proprio futuro, non solo lavorativo, legata anche all’impossibilità di certificare l’esperienza accumulata; lei parla di “credenziali portatili”…
Credo effettivamente che questa sia una battaglia da giocare. Qui però bisognerebbe operare delle distinzioni tra tipo di lavori, livelli di qualificazione, perché altrimenti è come pretendere di avere una medicina universale che cura ogni male possibile.
La questione della formazione e delle “credenziali portatili”, infatti, dipende molto dal livello della formazione: per chi è sistemista informatico, progettista di pagine web, competente in alcune delle nuove professioni altamente qualificate, l’accumulazione dell’esperienza è un fatto naturale, che si trasforma in un curriculum più ricco. Perché uno può dire: “Ho lavorato su sistemi operativi Unix, Windows Nt; adesso mi sto specializzando nei sistemi open source, Linux e dintorni…”. E allora il datore di lavoro dirà: “Perbacco, che bella esperienza!”.
Ma per uno che faccia un lavoro relativamente ordinario, mediamente qualificato, questa possibilità di fare esperienze diverse ma cumulabili non sussiste. Perché se uno fa il montatore meccanico, poi il montatore di frigoriferi, poi di pezzi d’automobile, e ancora di motorini elettrici; beh, può fare anche 37 esperienze diverse di quel tipo, ma il suo curriculum professionale, per certi aspetti, invece di abbellirsi, si imbruttirà, perché il 38° datore di lavoro dirà: “Ma cosa fa questo? Fa un po’ di tutto, motorini, frigoriferi, cos’è?!”. Ecco allora che quella che costituisce una ricchezza per chi parte già “ricco” di competenze e professionalità, per un altro si trasforma in una seria debolezza che compromette il suo futuro. Allora è ovvio che qui non si tratta solo di fare formazione e magari di aggiungere dei pezzi… Oggi quando si parla di formazione si dice: “Insegniamo a tutti l’uso del computer”; questo va anche bene, perché il computer ormai si usa davvero dappertutto; ciò che però andrebbe migliorata è la competenza professionale a partire da quello che le persone effettivamente sanno fare.
Se uno si occupa di lavori stradali, forse può anche essere utile che sappia qualcosa di computer, ma sarebbe più utile una formazione che costruisca altre competenze attorno al lavoro che svolge: come si dirigono i lavori stradali, come si progettano, quali sono le diverse mansioni. E’ un compito estremamente difficile, però o si passa di lì o la formazione rimane poco più di un’etichetta.
Sul versante del sindacato stanno emergendo nuove proposte, come la possibilità di una contrattazione individuale o dello scambio formazione-orario di lavoro. Cosa ne pensa?
Devo dire che in questo contesto l’ “individuale” suona un po’ male. Come ho già detto, gli unici che sono in grado di fare contrattazione individuale sono quelli che possiedono un’alta professionalità che sia molt ...[continua]
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