Pubblichiamo un racconto inedito di Pino Ferraris, ritrovato tra le sue carte.
Cogliamo l’occasione per segnalare il sito http://www.pinoferraris.it/ curato da Valter e Sergio Ferraris e dedicato al padre.


La via è intitolata a Modesto Cugnolio, l’avvocato socialista che poco meno di un secolo fa condusse i braccianti e le mondine del Vercellese alla conquista delle otto ore. Sta proprio davanti al Bar della Stazione, la piccola villa colore rosa violetto. Un tempo ospitava vita di bambini e di nonni tra i roseti e nel giardino sotto i glicini. Quest’ultimo inverno di nebbie e di brina ha chiuso nella casa mia madre completamente sola. Dopo molti abbandoni e molte partenze nel maggio dello scorso anno accanto alla tazza del té la vicina di casa, la Lena, non si svegliò più. Suo marito, il vecchio Carlin, sopravvisse soltanto qualche mese. Con l’entrata nell’inverno tutti ormai se ne erano andati. Nel lunghissimo buio delle giornate invernali mia madre continuava a vivere tra l’inerte deserto della memoria e l’agitazione imprevedibile dei deliri.
Quando venni qui nella prima settimana di febbraio l’Alzheimer stava portando a termine la sua devastazione. Fu allora che, in un pallido e freddo pomeriggio, l’accompagnai per l’ultima volta al camposanto. Nella tomba di famiglia c’è mio padre, ci sono i nonni e la loro figlia primogenita Jolanda, delicata e fragile che non andò a lavorare in risaia. Lavorava alla nuovissima macchina Singer che ci lasciò quando, malata di cuore, morì a 22 anni.
Poco distanti nei colombari ci sono la zia Rita e lo zio Paolo. Sono stati raggiunti due anni fa dal loro unico figlio Franco, un gigante biondo, buono e allegro. È stato stroncato dall’auto di un balordo mentre, la sera, andava a comprare i regali di Natale. Aveva 55 anni. Quasi davanti alla nostra c’è la cappella della famiglia Graziano. Oramai sono tutti qui gli amici e i vicini di ringhiera delle Case Operaie. Il primo a venire fu Tarcisio. Aveva 25 anni nell’aprile del 1945 quando, con la fascia del Cln al braccio e un fucile in mano, andò verso una Divisione di tedeschi in ritirata. Lo trovarono dopo 15 giorni nel canale Cavour trapassato dai proiettili.
Incontriamo la tomba di marmo lucido della famiglia Balocco. Quasi centenaria ha raggiunto i suoi cari anche l’Angiolina, una piccola donna battagliera e vivace che ci raccontava gli scioperi delle mondine per l’orario nel 1906 e gli scontri con la cavalleria.
La vecchia zia Giovannina fu la prima ad essere sepolta in questa tomba di finto marmo dei Vergano. La ricordo immobilizzata sulla carrozzella che leggeva e leggeva. Nelle lunghe serate d’inverno traduceva poi in dialetto e ci raccontava I miserabili e Il bacio di una morta... Luoghi, nomi, fotografie sono muti per mia madre. A bassa voce come vaneggiando mi ripete: "Come fai a sapere tutte queste cose? Io no... io no”.
Quando uscimmo dal cimitero improvvisamente sembrò ritrovare luce e ricordi. Mi sussurrò: "Andiamo a trovare lo zio...”. E fu lei questa volta a guidarmi facendo pressione col braccio per voltare a sinistra verso il Viale della Rimembranza.
Quarantadue tigli grandi ed alti allineati sui due lati di un vialetto inghiaiato. Ai piedi di ciascuno i cippi di granito piccoli e tronchi. Targhe di bronzo appena leggibili indicano il milite caduto nella Prima Guerra Mondiale.
Vacillante ed incerta cerca tra le steli. Nel loro uniforme susseguirsi riesce a trovare quella di Giovanni Panattaro, il fratello di mia nonna caduto sul Carso all’età di ventiquattro anni nel novembre del 1916. Allora mia madre aveva poco più di un anno. Mi colpì e mi turbò la misteriosa e inattesa persistenza di quell’unico filo di memoria. Durante quegli stessi giorni cercavo di proteggere carte e documenti dal suo continuo, maniacale rovistare, spostare, nascondere e distruggere oggetti. Ho salvaguardato documenti di identità, atti notarili, vecchie fotografie, libretti bancari.

Nel corso di queste mie ricerche trovai, dentro una cassetta di legno scuro e lucido, saldamente legato con un robusto nastro bianco, un pacco di vecchie lettere. Lo svolsi. Erano lettere dal fronte inviate negli anni 1915 e 1916 dal soldato Panattaro Giovanni. Ancora quel nome, l’antico dramma familiare e la Grande Guerra.
Ora sono qui davanti a me sul tavolo dello studio i 180 "pezzi” dell’epistolario del soldato Panattaro Giovanni.
Sono lettere inviate ai familiari: al padre e alla sorella, agli zii e al cognato al fronte.
...[continua]

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