Ero sicuro che avrei trovato nel cassetto del tavolo della cucina di mia madre ciò che cercavo.
Lunedì 3 aprile dell’anno 2000, lo strano coltello era là al suo posto. Nessuno l’aveva gettato via, anche se appare un oggetto inservibile. Ha una lama di acciaio così consunta dal lungo uso e da una logorante opera di affilamento da sembrare ormai un punteruolo. Ha un manico di legno palesemente lavorato a mano, non originario, artigianalmente stretto alla lama da un cerchio giallo di ottone.
Io so la storia di questo strano ed ormai inutile oggetto, ma per ricostruirla e per dare un nome a colui che fu il proprietario di quel coltello rimasto nella nostra casa per quasi sessanta anni, ho dovuto ritrovare una fotografia nella quale io, ragazzo di circa dieci anni, sono ripreso tra mio padre, severo operaio trentacinquenne, e mia madre, bellissima e sorridente giovane donna di ventotto anni. Dietro la fotografia con la bella scrittura della mamma sta scritto: Weiss. È la fotografia che verso la fine del 1943 scattò l’ingegner Weiss sul balcone della nostra casa.
Ecco, quello che ho ritrovato è il coltello dell’ingegner Weiss il quale possedeva anche una pregiata macchina fotografica di produzione tedesca di cui era molto fiero. Questo nostro amico quando riusciva a trovare un rullino ci regalava sempre alcune belle e, in quei tempi, preziose fotografie.

Venendo da Vercelli lungo la statale che porta a San Germano ad un certo punto appare il paese accovacciato tra le risaie. Dalle basse abitazioni vedi che spiccano verso l’alto l’enorme ed orribile serbatoio dell’acquedotto sollevato da pilastri di cemento armato, l’imponenza spropositata della chiesa settecentesca di mattoni rossi, la svettante ciminiera di quella che fu una importante riseria. Questa è la carta d’identità di un paese simile a tutti gli altri disseminati in questa zona piatta ed uniforme, che permette di individuare San Germano Vercellese da tre o quattro chilometri di distanza. Subito dopo, a poco più di due chilometri dal paese, la statale piega leggermente a sinistra. A questo punto sulla destra si stacca la strada (un tempo era poco più di un viottolo) che porta alla frazione Strella, mentre sulla sinistra vi è il rustico ma dignitoso edificio della cascina Capriasco.
In quegli anni lontani della guerra il proprietario della cascina era anche il Podestà del paese.
Verso la fine del 1943 mio padre lavorava in quella cascina come falegname e meccanico addetto alla manutenzione ed alla riparazione di macchine agricole. La mamma invece gestiva un piccolo negozio di generi alimentari sulla strada che conduce alla stazione ferroviaria.
Nella cascina Capriasco lavorava l’ingegnere Weiss. Non faceva affatto l’ingegnere, praticamente faceva l’aiutante di mio padre. Infatti era un ebreo di origine austriaca. Con la moglie abitava e lavorava nella cascina del Podestà, in parte protetto ed in parte sorvegliato.
Io ricordo l’ingegner Weiss, alto, dinoccolato, con il volto scavato e intelligente del "cittadino”, i capelli chiari e radi e un paio di occhiali dalle lenti molto spesse. Lo ricordo bene perché veniva spesso nel negozio di mia madre con una bicicletta da donna, troppo bassa per le sue lunghe gambe, a far la spesa portando una grande borsa nera, appesa al manubrio, che arrivava vuota e continuava ad apparire vuota anche quando partiva. I Weiss compravano poco anche di quel poco che allora si riusciva a vendere.
Ma io lo ricordo bene soprattutto perché veniva sempre nel piccolo retrobottega che fungeva da cucina e da soggiorno. Entrava cortese e timido il mite ingegner Weiss, entrava per consultare con scrupolo ansioso il giornale del mattino. Sembrava che non lo interessassero i grandi titoli e che percorresse invece le pagine del giornale alla ricerca di piccole notizie che per lui avevano grande importanza.
Mio padre non ritornava a casa dal lavoro per il pranzo, mangiava in cascina sotto la travata (d’estate) o nella stalla (d’inverno) e portava con sé porzioni abbondanti di pane, di salame e di formaggio che ogni giorno condivideva con l’ingegner Weiss. I salami confezionati da mio padre, con l’aiuto dei nonni, erano eccezionali ed avevano una fama che si spandeva nel circondario giungendo persino a Torino.
Weiss chiedeva di poter riservare una fetta di quel salame raro e prelibato per la ...[continua]

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