Mi si chiede un breve ricordo di padre Camillo che poco più di un mese fa ci ha lasciato. D’istinto risponderei: non sum dignus. Poi, pensando a lui, mi ricredo, non gli sono mai piaciuti gli atteggiamenti reverenziali. Sento, d’altra parte, di avere qualche titolo a parlare di lui che conobbi un cinquantennio fa, circa. Allora stavo a Milano, erano i primi anni Sessanta e con lui ci vedevamo spesso alla Corsia dei Servi, presso S. Carlo al Corso, dove i padri Serviti gestivano una libreria e organizzavano vivaci cicli di conferenze. E dove la presenza di Camillo e di padre David Maria Turoldo era un richiamo per tutti.
I rapporti tra la Curia milanese e la Corsia non sono mai stati ottimi. Meglio, la Curia temeva la presenza tra i Serviti della Corsia di due personalità di rilievo ma scomode come quelle di David e di Camillo. Così che la loro attività in Corsia, da loro fondata all’inizio degli anni Cinquanta, fu sempre seguita con sospetto e i due capi allontanati anche se mai in maniera definitiva. Camillo già alla fine degli anni Cinquanta fu costretto a risiedere a Tirano, suo paese natale, David a svolgere mansioni altrove. Ma, di tanto in tanto, essi tornavano a Milano, riprendevano a occuparsi di cultura in seno alla Corsia, sempre attentamente seguiti dalla Curia.
La presenza saltuaria di Camillo a Milano mi permetteva comunque di frequentarlo. Poi quando anche io agli inizi degli anni Novanta lasciai Milano e mi stabilii in Toscana sostituimmo gli incontri personali con il telefono. Per dire che ci siamo sempre sentiti e seguiti con affetto, anche a distanza. Ci univa una intesa di fondo sui modi essenziali del vivere.
In questi ultimi anni lo rividi più volte a Tirano ed era un rinnovato piacere ritrovarlo sempre più vecchio ma lucido, con quel viso da profeta ascetico, attorniato dalla stima e dalla simpatia di tanti amici vicini e lontani.
Oggi che non è più tra noi, il suo ricordo si concentra non tanto su ciò che fece ma su ciò che fu e disse. E tanto ci sarebbe da dire su di lui in merito. Io mi limiterò a qualche sporadica osservazione. Per prima cosa direi che egli fu non tanto un maestro (termine che, a parere mio, non è esente da un’ombra di saccenza, lontanissima da Camillo) quanto un dispensatore di cumulate esperienze religiose e culturali che lo fecero più simile al sapiente, al saggio, a chi ne sapeva di più. Da avvicinare per stabilire con lui quel rapporto personale indispensabile a farci meglio intendere la nostra avventura umana.
Sono convinto inoltre che il suo modo sapienziale di essere fosse assicurato dalla libertà della propria coscienza cui affidava la sua vita di uomo di chiesa, di uomo di cultura, di uomo tout court.
Me lo conferma una sua frase rimastami in mente per i suoi significati latenti. Eravamo a Madonna di Tirano, proprio di fronte al Santuario e, come in sovrappensiero, guardandolo, mi disse quasi sottovoce:”Vedi, Stefano, tutta la mia vita s’è svolta intorno a questa chiesa!”. Una frase che era una straordinaria sintesi della sua esperienza. Non solo per l’implicito riconoscimento che veniva dato all’importanza delle tradizioni locali, lievito della religiosità e del sacro. Ma soprattutto perché poneva a Camillo la questione se fosse possibile vivere congiuntamente l’impegno verso la Chiesa e la società civile. E come?
La parola chiave della frase è l’avverbio intorno. Esso conferma in Camillo il ruolo che la centralità della Chiesa ha avuto nella sua vita, ma ci dice anche che egli è stato in condizione di viverne il rapporto lontano da pericolose identificazioni (conosciamo bene il significato in psicologia del termine identificazione!). Ma come ha fatto Camillo a pervenire a questo equilibrio? L’ha raggiunto non solo dopo avere studiato e meditato su tutto ciò che, in proposito, è stato scritto e fatto dalla Chiesa e dai sostenitori delle tesi laiche contrarie, ma anche perché, come Camillo più volte mi ha fatto notare, la sua appartenenza all’ordine Servita (nato laico e che tale si sarebbe mantenuto fino ad oggi) lo faceva sentire "laico sebbene prete”.
Del resto, basterebbe riportare una frase di Levinàs che Camillo spesso mi citava: "…l’identità non sta nel soggetto ma nella relazione…”, per capire che nella fattispecie, l’identità di Camillo non stava nel Santuario ma nel girarvi intorno (e guardarsi intorno), senza mai perderlo di vista. Proprio come Camillo ha fatto.
Stefano Majnoni
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