6 gennaio 2010. Celeste Frau
Celeste Frau, 62 anni, condannato a 12 anni di carcere per una rapina commessa nel 2007, si è ucciso ieri nel carcere Buoncammino di Cagliari. Frau, che di mestiere faceva il rottamaio, aveva diversi precedenti penali, ma non aveva mai dovuto confrontarsi con una condanna così pesante e, sconfortato dall’idea di dover trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una galera, ha preferito darsi la morte.
Celeste Frau era in cella con altri tre detenuti, che non vedendolo uscire dal bagno si sono allarmati. Quando si sono affacciati, hanno visto il suo corpo penzolare dalla finestra. Aveva annodato le lenzuola. Non ha lasciato un biglietto né, che risulti, ha mai manifestato con alcuno intenti suicidi.
La vittima era una vecchia conoscenza del direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala, che definisce la sua morte "imprevista ed imprevedibile”. Frau, riferisce Pala, "aveva passato buona parte della sua vita in galera e non era depresso. Aveva un ottimo rapporto con i detenuti e con gli agenti. Semmai aveva problemi cardiaci e per questo era seguito con particolare attenzione dai medici”. Aggiunge Pala che i compagni di cella sono rimasti molto colpiti. […] Sposato e padre di sei figli, Frau ha fatto parlare di sé non solo in relazione ad episodi di "cronaca nera”: nel 1994 è ancora detenuto a Cagliari, dove sconta una condanna di 2 anni e 6 mesi, quando suo figlio Stefano, 21 anni, muore in un incidente stradale. Celeste chiede un permesso per partecipare ai funerali del figlio: il giudice glielo concede, ma dispone che ci vada in manette e scortato dai Carabinieri. L’uomo rifiuta il permesso e si appella alle autorità civili e religiose perché lo sostengano nella richiesta di dare l’ultimo saluto al figlio senza l’umiliazione delle manette. L’Osservatore Romano si occupa del suo caso con un articolo dal titolo "Una giustizia senza cuore” e l’Ordine degli avvocati di Cagliari presenta un protesta formale in Tribunale, ma la decisione del giudice non cambia.
Con la morte di Celeste Frau salgono a 21 i detenuti morti negli ultimi 8 anni nel carcere di Cagliari: 11 si sono suicidati, 4 sono deceduti per malattia e per altri 6 è stata aperta un’inchiesta giudiziaria mirante all’accertamento delle cause della morte.
Per quanto riguarda i suicidi di detenuti "over 60”, con quello di Frau negli ultimi 8 anni se ne contano 26, di cui 3 ultrasettantenni.
(Radicali Italiani, associazione "Il Detenuto Ignoto”, associazione "Antigone”, associazione "A Buon Diritto”, redazione "Radiocarcere”, redazione "Ristretti Orizzonti”)

10 gennaio 2010. 24 milioni di dosi, 184 milioni di euro
Alla fine il contratto è uscito. Persino la Corte dei Conti aveva lamentato il fatto che la scrittura privata tra il Ministero della Salute e la multinazionale farmaceutica Novartis fosse di fatto coperta da segreto. Non solo, sempre la Corte dei Conti aveva parlato di condizioni troppo favorevoli a Novartis, fra le quali l’assenza di penali, l’acquisizione da parte del Ministero dei rischi e il risarcimento alla multinazionale per eventuali perdite.
Oggi possiamo leggere il contenuto di questo contratto, pur se con non pochi omissis.
La scrittura risale al 21 agosto 2009, ed è firmata dal direttore generale del Ministero, Fabrizio Oleari, e dall’amministratore delegato di Novartis Vaccines, Francesco Gulli.
Nel testo, si regolamenta l’acquisto diretto di 24 milioni di dosi di vaccino. Costo: 184 milioni di euro, iva inclusa.
Numero di vaccini effettivamente somministrato alla cittadinanza? Meno di un milione. Il resto (10 milioni consegnati su 24) riempie tuttora i frigoriferi delle Asl.
(www.altreconomia.it)

11 gennaio 2010. Due donne, due storie
Ambedue hanno commesso un delitto orribile.
Tutte e due sono state vittime di un marito violento. Per entrambe un matrimonio fatto di abusi fisici, psicologici e sessuali, è finito con l’uccisione del coniuge. La prima, Gaile Owens, lo ha fatto assassinare da un balordo trovato per strada. La seconda, Mary Winkler, lo ha lasciato morire dissanguato dopo avergli sparato a sangue freddo. Per ambedue lo stesso famoso psichiatra ha diagnosticato, a vent’anni di distanza, la "battered woman’s syndrome”: un’attenuante che le corti americane considerano decisiva.
Ma qui le loro strade si dividono.
Mary Winkler ha trascorso 67 giorni in un ricovero psichiatrico. Ora è libera e ha ottenuto la custodia dei figli.
Gaile Owens è da vent’anni nel braccio della morte e fra poco la uccideranno.
Entrambe le storie vengono dal Tennessee dove altri casi simili, se non uguali, dimostrano quanto fossero giuste le parole del giudice Blackmun: "Sono passati vent’anni da quando questa Corte [Suprema] proclamò che la pena di morte può essere imposta solo ed esclusivamente in maniera equa e con una ragionevole coerenza […], [ma] nonostante gli sforzi degli Stati e delle corti per escogitare formule legali e regole procedurali adatte a raggiungere questa impegnativa sfida, la pena di morte rimane intrisa di arbitrarietà, discriminazione, capriccio ed errore. […] Da oggi in poi non mi gingillerò più nel tentativo di riparare il meccanismo della morte. Per più di 20 anni ho cercato (in realtà ho lottato) insieme alla maggioranza della Corte nel tentativo di sviluppare regole procedurali e sostanziali che portassero a qualcosa di più di una mera apparenza di equità nell’applicazione della pena di morte. Piuttosto che continuare a cullarmi nell’illusione della Corte che si sia raggiunto il livello accettabile di equità […], mi ritengo moralmente e intellettualmente obbligato ad ammettere che l’esperimento della pena di morte è fallito. […] [e che] la domanda di base: - il sistema determina accuratamente e coerentemente quale accusato merita di morire? - non può avere una risposta affermativa”.
Supreme Court Justice Blackmun, dissenting in Callins v Collins 1994.
(Claudio Giusti - giusticlaudio@aliceposta.it)

15 gennaio 2010. Carla Melazzini
Riceviamo da Ciro Naturale e pubblichiamo. Cari amici, grazie per la rivista, mai come questo mese aspettavo Una Città per le pagine bellissime che sapevo avreste pubblicato... Non ce l’ho fatta a seguirvi fino al cimitero (ho preferito andarci da solo come farò ancora). Ero stato a casa sua il giorno prima del funerale... Mi ero precipitato da Perugia perché in tanti mi avevano telefonato. Fuori da quella chiesa mi sono smarrito negli occhi lucidi di quelle tante persone amiche in cui vedevo Carla. Volevo fermarmi con voi a piangere ma poi ho preferito piangere da solo per una settimana intera leggendo le sue note, le sue pubblicazioni, i miei appunti di quando parlava nelle riunioni. Volevo inviarvi tutto ciò che è di Carla: foto (tra cui la foto con lei di quando mi sono laureato!) poi i suoi preziosi interventi... Non ce l’ho fatta. Conservo di lei un patrimonio di buoni insegnamenti su cui campo di rendita come educatore. Penso sempre a cosa ne sarebbe stato di me senza di lei. Ho accettato con fatica la sua andata.
Io sto bene, vivo a Perugia con Melissa e due bellissime bimbe. Faccio l’educatore presso una casa famiglia (una residenza protetta per bambini) quello che non ho potuto continuare a fare a Napoli perché con la politica che abbiamo era un lusso che non mi potevo più permettere. Anche se la voglia di tornare a fare quello che facevo mi perseguita. Non nascondo che con un solo mensile qui la vita è dura, spesso ricorro all’aiuto delle associazioni caritatevoli e poi ricostruirsi una vita da zero senza più i legami e le cose che facevo è stata una faticaccia. In questi due anni e mezzo che sono emigrato Carla è stata l’unica persona che ho sempre sentito vicino, ci siamo sentiti regolarmente una volta al mese tranne gli ultimi tempi, in cui non l’ho più chiamata perché sentivo e avvertivo che stava male. Mi ha continuato a mandare dei libri che mi sono stati d’aiuto per fare delle lezioni a docenti di Perugia in alcuni corsi di formazione. Tutte letture azzeccate che hanno avuto in me grossa risonanza come è sempre stato dall’inizio. L’ultimo libro che mi ha spedito è stato Il Racconto della Vita. Psicoanalisi e autobiografia di Giovanni Starace, dentro cui ho trovato un capitolo bellissimo sugli aspetti psicologici dell’emigrazione. Carla con me faceva sempre centro ed era capace di farmi scrivere e commuovere... Mi dava i suoi appunti scritti a mano di trent’anni fa su Freud e gli altri autori... Carla esiste nei miei libri -che poi sono suoi- nei miei appunti, nella mia casa, nella mia vita di tutti i giorni... Scusa per la prolissità. Un abbraccio, Ciro

15 gennaio 2010. Un professore di greco nelle banlieues
Da qualche mese è uscito in Francia Homère et Shakespeare en banlieue, Grasset, di Augustin d’Humières, un professore di lettere classiche (francese-latino-greco) che insegna a Seine-et-Marne. Già un paio di anni fa Le Monde gli aveva dedicato un articolo.
D’Humières è un giovane insegnante sui generis: ha sempre mal sopportato la burocrazia amministrativa, ma anche i colleghi lamentosi, come pure quel sindacato di corpo che non esita ad assimilare a un’associazione mafiosa.
A un certo punto ha così pensato di tentare il tutto per tutto: l’ultima chance, a suo avviso, per salvare la scuola era puntare sul lavoro ben fatto, sul rispetto, le buone maniere, la cultura. Dopo aver fatto dei tentativi con i colleghi, i superiori e i sindacati, Augustine è giunto all’amara conclusione che, "a conti fatti, gli unici con cui c’era la possibilità di lavorare, di costruire qualcosa erano gli allievi”. Si è inventato anche una proposta quasi "commerciale” (del tipo soddisfatti o rimborsati) per i giovani potenziali iscritti: potevano venire a vedere il corso e se non gli interessava abbandonarlo. Lo stratagemma è risultato così atipico e bizzarro che alcuni giovani, perlopiù maghrebini, che vivono nel quartiere, hanno accettato la sfida e e inaspettatamente Augustine un giorno si è trovato davanti ben ottanta allievi!
Di lui si dice abbia metodi piuttosto all’antica, ma lui ci tiene a che gli "arabi” siano considerati "bravi” senza quella brutta aggiunta "per essere arabi”. E così non disdegna di far ripetere alla lavagna 25 volte la frase sbagliata.
Ogni lezione è una maratona, ma lui non demorde e organizza anche spettacoli teatrali, massacranti, con ragazzini che arrivano regolarmente in ritardo, senza alcun rispetto per i professionisti che li aiutano, capricciosi (l’anno di Giulietta e Romeo, tutte le giovani volevano fare Giulietta: "Ho passato un brutto momento” ricorda Augustine). Ha fondato pure un’associazione di ex allievi (Metis), che ogni anno porta con sé per andare nelle scuole a fare "pubblicità” al suo corso. Tra i suoi ex allievi, alcuni passati per il carcere, oggi ci sono avvocati, studenti di medicina, ecc. Quando arrivò al liceo Jean-Vilar, nel 1995, il corso di greco aveva sei allievi, oggi mediamente è frequentato da cinquanta studenti.
(www.lemonde.fr)

17 gennaio 2010. Diamanti
"Abbiamo avuto la prima adesione al servizio, che proponiamo da un anno -spiega Daniele Costa dell’impresa funebre Bizzotto di Bassano- una parte delle ceneri che risultano dalla cremazione vengono messe sotto azoto per ottenere il carbonio. Alla fine risulta una pietra con le stesse caratteristiche fisiche di un diamante in natura, sul quale poter scrivere eventualmente una piccola frase o una dedica. La procedura, seguita da una ditta di Modena, prevede una prima fase negli Stati Uniti, della durata di alcuni mesi, e poi la rifinitura nei Paesi Bassi, dove viene conferita la forma del diamante. Si può scegliere il colore, mentre l’intensità cromatica dipende dal Dna del defunto”. Si parte quindi dall’estrazione del carbonio per ottenere una determinata quantità di carbonio puro, definito tecnicamente "grafite”, che viene poi messo nella pressa per diamanti a elevata temperatura. Il diamante grezzo così ottenuto viene tagliato e levigato in uno dei laboratori che si trovano ad Anversa nella forma scelta dal committente. I vantaggi di questo servizio? "Qui -spiegano da Bizzotto- c’è l’usanza di andare al cimitero, ma con l’essenza del proprio caro racchiusa in una pietra preziosa, lo si ha sempre con sé, senza doversi spostare. Anche il prezzo va considerato: il diamante più piccolo, da 0,25 carati, costa 2000 euro (montatura esclusa); un loculo per 35 anni costa 2200 euro, perciò alla lunga la soluzione conviene”.
(Tratto da Il giornale di Vicenza)

26 gennaio 2010. Numeri
In base ad un conteggio effettuato dall’Agenzia Associated Press ad oggi, martedì 26 gennaio, risulta che in Iraq siano morti almeno 4374 militari americani dall’inizio della guerra nel marzo del 2003. Di questi almeno 3478 sono morti in conseguenza di azioni ostili, secondo le stime di fonti militari. Secondo l’ultimo report del Dipartimento di Difesa il numero dei feriti dall’inizio delle operazioni militari in Iraq ha raggiunto quota 31.639. L’ultimo identificato è il caporale Gifford E. Hurt, 19 anni, di Yonkers, N.Y., morto il 20 gennaio a Mosul, Iraq, per ferite riportate in un incidente non legato a operazioni di combattimento.
(www.washingtonpost.com)

28 gennaio 2010. Trenta per cento
L’annuncio del tetto del 30% di alunni stranieri in ogni singola classe ha suscitato reazioni, commenti, correzioni ministeriali. Il mio timore è che sia solo un ulteriore passo nel degrado della scuola pubblica e delle condizioni dei migranti e dei loro figli, non perché si farà ciò che viene annunciato ma perché l’annuncio incoraggia tendenze al disfacimento già in atto.
Tutti dicono da sempre, da quando gli allievi stranieri, in genere ricongiunti, erano molto pochi, che una buona formazione richiede la distribuzione degli allievi stranieri più o meno uniformemente nelle classi e negli istituti, per ragioni di lingua (immettere gli allievi in una classe in cui quasi tutti parlano italiano per non danneggiare la classe e favorire l’apprendimento) e di cultura (favorire lo scambio, le amicizie incrociate, le frequentazioni reciproche). Da sempre questo non accade: perché il provveditore prima, la direzione regionale poi, non è in grado di programmare; perché i genitori sono concentrati in certi quartieri; perché le scuole hanno modi per scoraggiare i genitori degli allievi che non desiderano; perché i presidi possono concentrare gli allievi in certe classi, come è sempre avvenuto, per censo e rendimento. Negli anni, a Torino, che conosco meglio, si sono verificate grandi concentrazioni in alcune filiali, al punto da generare la fuga degli italiani e degli stranieri più istruiti, la caduta delle iscrizioni, la chiusura delle filiali, lo spostamento della concentrazione altrove. Da molti anni alcune scuole si sono specializzate in stranieri, per necessità (per acquisire una risorsa scarsa, gli allievi) e per virtù (perché hanno investito in corsi appositi, in procedure di accoglienza, ecc.).
Nei decenni la concentrazione degli allievi stranieri in alcuni istituti, maggiore della concentrazione delle residenze dei genitori, è diventata così grande da stimolare il Cattaneo, la Fondazione Agnelli ed altri a fare una ricerca per misurare l’entità del fenomeno, che ammonta a una vera segregazione, e le sue cause. Anche il Comitato per cui lavoro lo ha fatto. Occorre aggiungere che, a questo punto, a Torino, ma anche nella maggior parte del nord, per le provenienze più antiche, gli allievi stranieri nati qui sono più dei ricongiunti e che più di un neonato su tre ha almeno un genitore straniero, più di uno su quattro tutti e due; e che alcuni licei respingono di fatto gli stranieri, mentre alcuni istituti li confinano nel serale di transizione, che non rilascia un diploma ma un attestato di frequenza, per riempire il tempo fino ai 16 anni. A meno di assumere Erode al comune, gli allievi stranieri saranno il 30% in media, in tutte le elementari di Torino nel giro di pochi anni e sono già i tre quarti o poco meno in alcuni istituti di avviamento al lavoro e istituti tecnici commerciali.
Su questa situazione spunta il Governo che dice: non più del 30% nelle classi; assunzione da apprendisti subito dopo la terza media. Cosa succederà davvero?
Nell’immediato nulla perché la ministra precisa che la percentuale si riferisce alla competenza in italiano, criterio con cui si potrebbero cacciare dalle scuole molti dei figli di italiani non istruiti, ma si possono anche ammettere tutti; e perché per assumere qualcuno ci vuole un datore di lavoro - e di datori di lavoro disposti ad assumere, in regola, con la rogna burocratica di far finta di formarli, quindicenni, in maggioranza stranieri, che devono finire l’obbligo, mentre la disoccupazione sale, all’orizzonte io non ne vedo.
Nel medio periodo un aggravamento dei comportamenti di fatto. Perché le scuole che si sono specializzate in stranieri trasseranno sulla qualità; e quelle che non li vogliono scopriranno che nessuno ha la competenza sufficiente. Mentre adesso per respingere devono far finta di essere pieni, domani dovranno solo far finta di essere vicini alla soglia e di non poter disfare le classi già consolidate. E, per le assunzioni, mentre a Torino, come mi è capitato di vedere anni fa, per i contratti di formazione-lavoro, qualche vecchio piemontese testardo che pretende di controllare che l’apprendistato sia un apprendistato si troverà, in altri posti semplicemente finirà persino l’ombra, il fantasma, dell’istruzione per i poveri.
Per la scuola pubblica ci vogliono risorse economiche, capacità professionali, attività destinate all’accoglienza degli stranieri ricongiunti, istituzionali, non temporanee, che finiscono con un cambio di dirigente, o di assessore, o solo perché un progetto si è chiuso, in attesa che il Parlamento si decida a dare la cittadinanza a quelli nati qui. Ma il marcio è culturale; riguarda gran parte del corpo docente e dei genitori. Speriamo di non dover passare da Selma per restare umani.
(Francesco Ciafaloni)

29 gennaio 2010. La crisi in Veneto
In Veneto nel complesso dell’anno le aperture di crisi sono risultate 1.189 e i lavoratori potenzialmente interessati sfiorano le 31.000 unità. La crisi continua a interessare in maniera rilevante il metalmeccanico, nonché in generale le aziende di minore dimensione.
I contesti provinciali maggiormente interessati sono quelli di Vicenza e Padova, rispettivamente con più di 9000 e 7000 lavoratori coinvolti. Nel solo mese di dicembre 2009 sono state autorizzate complessivamente poco più di 12 milioni di ore: di queste 3 milioni hanno riguardato la cassa integrazione ordinaria (cigo) e 283.000 l’edilizia, 8,5 milioni la cassa integrazione straordinaria (cigs).
Il 2009 chiude pertanto con un bilancio particolarmente pesante: il ricorso complessivo alle sospensioni è nel complesso quintuplicato rispetto al 2008, con un incremento particolarmente sostenuto per la cigo, cresciuta di ben otto volte rispetto ai valori dell’anno precedente.
Nei prossimi tre mesi cesseranno i trattamenti di sostegno al reddito per i dipendenti di 73 imprese.
Le domande di ammissione alla cassa integrazione in deroga (cig/d) pervenute alla Regione del Veneto sono state quasi diecimila (9.800), le aziende interessate sono state 6.660, circa 28 milioni le ore richieste, mentre i lavoratori previsti hanno superato le 39.000 unità. Nella sola provincia di Vicenza le domande presentate sono state oltre 3000, i lavoratori previsti poco meno di 12.000. Mediamente le aziende richiedono la cassa integrazione in deroga per 5-6 dipendenti, con una previsione di circa 489 ore pro capite equivalenti a circa 60 giornate effettive. Per quanto riguarda le caratteristiche delle aziende che hanno presentato domande, va detto che nell’80% dei casi si tratta di aziende artigiane; i settori di attività sono essenzialmente quelli del manifatturiero (78%), in particolare il settore moda, quello meccanico e della produzione di metalli; anche le aziende dei servizi sono presenti in congruo numero con particolare rilievo di quelle dei servizi alle imprese e del commercio/turismo; le domande sono state presentate da piccole imprese: l’85% ha meno di 15 dipendenti. Complessivamente, tra licenziamenti individuali e collettivi, nel corso del 2009 si sono registrati in Veneto oltre 32.000 licenziamenti con contestuale inserimento nelle liste di mobilità.
(tratto da Veneto Lavoro, report dicembre 2009: "Crisi aziendali. L’impatto occupazionale”).

30 gennaio 2010. Ancora sul trenta per cento
Negli Stati Uniti negli anni ’70 e ’80, sotto la supervisione della Corte Federale, molte scuole furono invitate a organizzare i cosiddetti "Desegregation busing”, un sistema di autobus che mescolava forzatamente bianchi e neri. Nota anche come "forced busing” si trattava di una politica per contrastare la formazione di scuole in qualche modo ghettizzate con tutti i neri concentrati in certi quartieri e i bianchi in altri (questa almeno era l’idea).
In realtà le scuole erano state formalmente "desegregate” nel 1954, per decisione della Corte Suprema: non ci sarebbero più state "scuole bianche” e "scuole nere”, ma solo scuole.
La formula si rivelò ben presto fallimentare e il sistema cominciò a declinare già negli anni ’80. Spesso le scuole in cui i ragazzini bianchi (o neri) venivano portati, per invertire la proporzione delle classi, erano lontane dai loro quartieri, comportando anche problemi logistici alle famiglie. Molte famiglie di bianchi addirittura iniziarono a trasferirsi in altre zone per non essere sottoposti a questo obbligo. Si parlò al tempo di white flight (la fuga dei bianchi). Chi non poteva traslocare mise i figli in scuole private o confessionali. Questo esperimento di ingegneria sociale mostrò i suoi limiti soprattutto a Boston, dove nacque un vero movimento di disobbedienza civile fatto di genitori, che non capivano perché allontanare il figlio dal quartiere dove conosceva tutti per mandarlo in uno a lui estraneo, tra l’altro costringendolo ad alzarsi all’alba.
Il risultato fu paradossale: nelle scuole pubbliche la percentuale di studenti bianchi passò dal 65 al 28% e poi al 17%. Molte scuole chiusero. Le autorità furono costrette ad abbassare la soglia di bianchi "indispensabile” dal 50 al 9%. I bus "forzati” ebbero un effetto negativo anche sulla comunità nera che comunque era molto affezionata alle proprie scuole di quartiere, che saranno pure state povere e monocromatiche, ma non per questo funzionavano male.

31 gennaio 2010. Crocifissi in aula
Il giudice Luigi Tosti in questi anni si è fatto conoscere per il suo testardo rifiuto di celebrare udienze nelle aule giudiziarie in cui è esposto un crocifisso. Ora è stato rimosso per non aver accettato di tenere le udienze nell’unica aula senza crocifisso che gli era stata gentilmente concessa.
Commenta Giordano Masini su www.libertiamo.it: "La sua battaglia solitaria gli è ora costata il posto di lavoro, dato che la sezione disciplinare del Csm lo ha rimosso. Lo stesso non era successo nel 1999 ai due giudici di Brindisi che avevano ‘dimenticato’ in carcere 63 persone. La sentenza della sezione disciplinare del Csm in quel caso è stata di assoluzione. […] E’ bastata la censura anche per il sostituto procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia di Roma che nel 1998 ha lasciato in carcere un tale sospettato di un sequestro nonostante il vero colpevole avesse già confessato”. E la lista continua. "Per il giudice Tosti è stato usato, evidentemente, un altro metro di giudizio. Non so se le sue ‘colpe’ giustificassero, codici alla mano, un provvedimento del genere, che ha suscitato dubbi e scandalo anche tra molti ‘addetti ai lavori’. Istintivamente provo simpatia per chi difende le proprie idee mettendoci la faccia e rimettendoci del suo”.
(tratto da www.libertiamo.it)