Sarebbe più comodo per tutti (?) che la storia la si potesse raccontare così. Esiste in Emilia Romagna una famiglia strana, “deviata”, col padre fascista fanatico delle armi, i tre figli (due dei quali poliziotti) razzisti che estremizzano gli insegnamenti e si mettono a sparare su neri, zingari e sui testimoni scomodi delle loro rapine, compiute per la ragione più banale: il denaro. Attorno, un corollario di donne dei killer che sanno fin dall’inizio ma sono paralizzate dalla paura e se ne guardano bene dal denunciare. Una benevola considerazione del loro legittimo terrore porterà a perdonarle. Tra le donne, una rumena di nazionalità ungherese, giovane, bella, potenziale star, che sposta il colore della vicenda dal giallo-nero al rosa con grande soddisfazione ed evidente sollievo. Sipario.
Sarebbe comodo perché risolverebbe un sacco di interrogativi, scaccerebbe le paure, ridurrebbe al livello della facile comprensione ciò che sarebbe troppo difficile da spiegare. Meglio pensare a una patologia, un delirio di pochi, peraltro ora in manette, che coltivare dubbi su un fenomeno complesso, articolato, ramificato, originato da un preciso disegno strategico, coltivato nella consapevolezza da settori dello Stato per inconfessabili fini. Il sospetto che dietro la storia della Uno bianca ci siano vecchi e nuovi personaggi che l’Italia ha imparato a conoscere (meglio: a non conoscere) nella stagione delle stragi e dei misteri è in realtà molto più di un sospetto. E se ci si era illusi che finalmente sarebbe stata la volta della chiarezza ecco che, a tre mesi dall’esplodere del caso, si è tristemente tornati in un’atmosfera da Prima Repubblica con intrighi connessi. L’ex ministro dell’interno Roberto Maroni aveva solennemente annunciato, all’arresto dei primi poliziotti, che stavolta lo Stato non avrebbe coperto di “omissis” ciò che si prefigurava già come almeno inquietante. Il primo titolare non democristiano del Viminale poteva essere la garanzia di una soluzione di continuità con la pratica diffusa del silenzio. Ma l’impegnativa dichiarazione è stata, successivamente, in parte rettificata. L’inchiesta sulla Questura di Bologna, partita all’insegna della trasparenza, si è trasformata in un atto d’accusa pesantissimo ma generico, in cui ai nomi son state sostituite le funzioni. E c’è da credere che, se epurazioni ci saranno, avverranno alla chetichella, nell’ombra degli uffici amministrativi e non alla luce dei riflettori. Peccato, la Seconda Repubblica ha sprecato l’ennesima buona occasione per dimostrare che davvero c’è una voglia di nuovo. E, stavolta, non nella lottizzazione selvaggia o nelle clientele, ma su un caso che è una scia di sangue lunga sette anni, con un numero di morti superiore a Piazza Fontana o all’Italicus, nella stessa Regione che è stata il crocevia della strategia della tensione.
Il profilo personale dei killer sinora arrestati, anziché togliere elementi alla suggestione del grande complotto, in realtà la rafforza. I fratelli Savi non facevano politica, cioè non erano in qualche modo incasellabili in questo o quel partito. Ma un’ideologia definita ce l’hanno senz’altro e va ben aldilà del voto espresso per Forza Italia da Fabio il Rambo, il non-poliziotto dei tre, alle ultime elezioni Un’ideologia rozza, semplice, ma chiara: odio verso gli zingari, gli extracomunitari, aspirazione alla ‘’pulizia”, all’ordine, vitalismo, amore smodato verso le armi in nome di un aberrante Superomismo.
Va subito sgomberato il campo dalla motivazione economica dei colpi, sebbene espressa durante gli interrogatori. La sua amante romena di nazionalità ungherese Eva Mikula ha spiegato come sia riuscita, in ripetuti piccoli furti, a prendergli dal portafoglio 40 milioni. Troppi, no, se uno è ossessionato dal denaro? E poi quale logica presiede all’uccidere anche per poche migliaia di lire? Lo stesso Fabio, durante un interrogatorio, al giudice: “Va bene, io vi racconto tutto, ma voi in cambio mi inserite in un corpo militare per azioni speciali”. Prima di sorridere dell’aberrante richiesta sarebbe il caso di rifletterci. Solo un uomo convinto, nel profondo, di aver servito una causa, può lanciarsi in un’affermazione del genere. A Eva Mikula aveva confidato di essere dei servizi segreti. Per l’ ipotesi minimalista si tratterebbe di millanteria. Troviamo traccia, nei verbali, dello stesso Fabio seduto a conversare amabilmente con un amico (romeno) della sua donna dl traffico di mercurio rosso, utile per ...[continua]

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