Forse tra qualche giorno Bamako, la capitale del Mali, cadrà in mano degli jihadisti del Jnim legato ad Al Qaeda aprendo la strada alla caduta del Burkina Faso e/o del Niger, creando una fascia, nel Sahel, dove le donne non potranno studiare, vivere in libertà e scegliere di sé. Di solito i movimenti di protesta si identificano con le vittime, con le persone che sono oppresse, preferibilmente da persone o governi occidentali. L’unica eccezione fu quella delle donne afgane (ormai abbandonate alla loro sorte) e delle yazide sotto Daesh-Isis e (poco) per il mercato on line delle schiave (solito sesso e pulizia) che quest’ultimo aveva organizzato. Né ci sono state grosse manifestazioni per il Sudan, dove dal 2023 sono state uccise oltre 150.000 persone e dove circa 21 milioni di persone sono alla fame, 12 milioni sono rifugiati interni e in Chad, Egitto e Etiopia. Con una popolazione di circa cinquanta milioni questo vuol dire che quasi uno su quattro è profugo/a e molti alla fame, donne vittime di stupri etnici e torture. 
Torniamo alle donne: che io sappia nessuna organizzazione femminista solleva il problema di una crescente oppressione delle donne nel mondo. Uno degli effetti collaterali del multiculturalismo è un’incertezza sul nostro modello libertà delle donne, fondato sulla possibilità di decidere della propria vita, di vestirsi come si vuole, di avere relazioni di ogni tipo per scelta, di poter andare in giro libere, con il vento nei capelli, di studiare e lavorare e non solo far figli. Sono forse solo valori occidentali? 
Altri due aspetti: nelle guerre (Gaza, Sudan, Mali, Ucraina Myanmar ecc.) ormai si torna a parlare di “donne e bambini” separandole dagli uomini nei conflitti, rimettendoci nella categoria degli eterni/e minori. Vittime adulte, vittime bambini/e. 
La seconda questione è di decidere senza misurare (e senza assumersi la responsabilità degli effetti che una decisione può avere). Per esempio, molti anni fa il governo italiano (mi pare fosse un governo Craxi) permise un’immigrazione più facile alle colf e badanti perché le donne locali cominciavano a scarseggiare nella funzione di “serve”, in seguito a una maggiore emancipazione e per l’invecchiamento generale della popolazione (ovvero le donne facevano meno figli)! 
Di nuovo non ricordo organizzazioni femministe che protestassero per l’importazione di mano d’opera domestica femminile o che suggerissero che i maschi di casa potessero fare un po  di più. Anzi alcune cominciarono un (delirante) panegirico sulla cultura del dono del lavoro, che io chiamo servitù. Lo stesso adesso: quali saranno gli effetti per tutte, per noi e per loro, della caduta di Bamako e degli altri paesi del Sahel?