Mi chiedo cosa penso della globalizzazione. Male, penso. Il welfare, ovvero la fornitura di servizi (sanità, pensioni, istruzione) finanziato dalla fiscalità generale, non funziona se il costo delle merci e della forza lavoro sono determinati altrove e non nel paese interessato (e ancor di più se non si ha un impero). Chi ama la globalizzazione ama la merce a basso costo comprabile con le proprie pensioni o stipendi da cittadino/a di paesi ricchi. Il divario tra paesi ricchi (consumatori) e poveri (produttori) è molto grande e mi chiedo cosa debbano fare i paesi ricchi per rimanere a galla, sempre che sia giusto che rimangano a galla. I nostri paesi hanno usufruito di manodopera a basso costo -spesso con lavoratori senza permesso-, o ­l’hanno comprata sui mercati dai paesi poveri (dicendo che così li si aiutava a diventar più sviluppati) per avere merci sempre più economiche, prodotte in barba ai regolamenti ambientali, diritti sul lavoro, creazione di “Export Processing Zones” validate anche dal sistema Onu. Trump, il capitalista pazzo, ha messo a nudo costi, dazi e la povertà della classe lavoratrice dei paesi sviluppati che sono quelli con cui i produttori di merci a basso costo nei paesi in via di sviluppo competono. Competizione al ribasso: beggar thy worker [impoverisci il tuo lavoratore, NdR] invece di beggar thy neighbour [impoverisci il tuo vicino, NdR]. E quindi poveri (e ricchi) nei propri confini.
Trump ha anche fatto saltare la fiducia che regge gli scambi: data per scontata come se i mercati davvero si autoregolassero e non dipendessero da ciò che crediamo. Forse il baratto resta l’unico vero scambio che continua a esistere quando si bloccano i mediatori (i mercati) che rendono in soldi e quindi rendono le merci scambiabili con altre di valore equivalente. Marx diceva: “Il denaro, in quanto misura di valore, è la forma fenomenica necessaria della immanente misura di valore delle merci, del tempo di lavoro”, ma questo è solo in parte vero perché, per esempio, i beni di lusso non richiedono molto più lavoro ma rispondono a criteri simbolici di status (e di prezzo). Mi ricordo anni e anni fa, da giovane interprete, di aver lavorato alle clearing houses [camere di compensazione, NdR] di Vienna quando, in presenza di divieto di commercio con il blocco dell’Est, avvenivano scambi di merci senza mai incontrarsi: “Vendo acciaio”, diceva una persona in una stanza con il mediatore e l’interprete. Il mediatore usciva e poi tornava: “Le interessano banane, in cambio?”, “No”, e usciva di nuovo il mediatore, che tornava con un’altra proposta: “Che ne direbbe di pelli di montone o macchine, purché l’acciaio non sia riconoscibile?”. “Se ne può discutere”. Per anni ho pensato di essermelo sognato, finché una sera a cena uno dei convitati, il cui padre era stato un dirigente di una grossa azienda italiana, raccontava come il genitore non sapesse cosa fare di centinaia di scatole di confetti avuti in cambio di macchinari. Quindi è già successo, ma prima dell’era dell’informazione. Mi chiedo adesso: dove avviene? Ci saranno delle clearing houses elettroniche? A volte è meglio non sapere.
Trump ha distrutto la fiducia nello stato di diritto, ma soprattutto nel mercato, data per scontata, mentre invece richiede fede (che gli economisti spesso chiamano fiducia): se non ci crediamo, non funziona. Siamo disposti a credere che un pezzo di carta o di plastica abbia un valore che dipende da un numero, come fiche al casinò della vita, e che il nostro lavoro o le proprietà abbiano quel corrispettivo o l’abbiano avuto? I bitcoin, in un certo senso, si basano solo sulla fiducia, e quindi potrebbero crollare completamente.
Per una come me, che per anni ha lavorato sul valore del lavoro domestico (e la sua non retribuzione monetaria), l’importanza del prezzo (e quindi della sua scambiabilità o meno sul mercato) sono essenziali. L’esempio che davo di solito era che qualora un/a perfetto/a sconosciuto/a mi chiedesse di pulirgli casa, occuparmi dei figli/genitori, nel caso di accettazione avrei dato un prezzo in base alle ore richieste. Invece, se questo avveniva all’interno di un rapporto sentimentale o matrimoniale non c’era prezzo (e spesso neanche valore), ma solo quello che eufemisticamente viene chiamato “ruolo”. Nei paesi in via di sviluppo questo meccanismo si estende alla preparazione del cibo e dei vestiti e quindi equivale a molti punti di Pil. Nell’esempio aggiungevo che ogni volta che una donna passa a u ...[continua]

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