Il 25 giugno 2021 in Spagna è entrata in vigore la legge che permette l’eutanasia. L’8 ottobre dello stesso anno in Italia sono state depositate presso la Corte di Cassazione oltre un milione e dodicimila firme per chiedere un referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia attiva, la somministrazione di farmaci che causano la morte di chi li assume.
Tra le varie angolazioni da cui la questione dell’eutanasia può essere affrontata, quella morale ha un rilievo particolare; la rilevanza morale di altre questioni che, pure, coinvolgono le nostre vite è meno riconoscibile e ce ne sono alcune che non sembrano averne alcuna.
Eppure la moralità è pervasiva: a considerazioni di carattere morale si fa spesso ricorso anche in casi nei quali l’oggetto della discussione è all’apparenza di tutt’altra natura. La vaccinazione contro il Covid-19 è un esempio in proposito. Se vaccinarsi sia o non sia un dovere di ogni individuo che non ha patologie tali da rendere il vaccino pericoloso per la sua salute è un problema di tipo medico che viene affrontato anche in termini morali: da un lato si afferma che la vaccinazione costituisce un dovere morale sottrarsi al quale comporta mettere a rischio la salute degli altri; dall’altro si sostiene che rendere la vaccinazione obbligatoria è sbagliato poiché significa limitare la libertà di scelta delle persone.
Sbagliato e giusto, bene e male, dovere… Le qualità e le entità cui queste parole rimandano sono oggettive, hanno cioè un’esistenza indipendente dalla mente che le pensa, o sono frutto di una sua proiezione? O, ancora, di una finzione? La moralità è qualcosa che scopriamo, come vengono scoperte le leggi naturali, o è un’invenzione al pari, per esempio, della scrittura?
“La moralità non è da scoprire, ma da creare”, dichiarava il filosofo australiano John Leslie Mackie in Ethics, un libro pubblicato nel 1977 che fin dal sottotitolo -Inventing Right and Wrong- suggerisce l’idea della moralità come risultato di una “invenzione”. Fino ad allora la filosofia morale analitica si era concentrata prevalentemente sul linguaggio morale: Mackie ha richiamato l’attenzione sul problema -ontologico- dell’esistenza dei valori, delle proprietà morali (denotate da parole quali “giusto”, “sbagliato”, “buono” etc.) e dei fatti morali (per esempio, il fatto che è stata commessa un’ingiustizia). Così è diventata un’altra la domanda centrale per la riflessione filosofica sull’etica: non più “quale tipo di enunciato è un giudizio morale?”, ma “i valori morali hanno un’esistenza oggettiva?”. A quest’ultima Mackie ha risposto negativamente argomentando, contro il realismo morale, che i valori morali non fanno parte dell’“arredo del mondo”.
Mackie ritiene che la posizione antirealistica abbia una conseguenza precisa sul piano del discorso morale: i nostri giudizi morali sono uniformemente falsi perché vertono su entità, i valori, che non esistono. Per esempio, quando dico che un atto è sbagliato sto attribuendo a quell’atto una determinata proprietà o caratteristica morale, che è indicata dalla parola “sbagliato”; ma poiché questa proprietà non esiste, la mia affermazione, che si riferisce a essa e la attribuisce all’atto in questione, è falsa al pari dell’affermazione “Samuel Beckett è l’autore di Gente di Dublino”.
I nostri giudizi morali sono falsi: questo è il nocciolo della teoria formulata da Mackie, la teoria dell’errore morale, che riguarda il linguaggio morale -gli enunciati morali (come “Luigi ha agito in modo equo”)- ma presuppone una tesi ontologica: quella antirealistica secondo cui le proprietà morali, i fatti morali e i valori morali non esistono. In altre parole, è l’inesistenza di tali entità ciò che rende falsi i nostri giudizi.
Allora, se i giudizi morali sono falsi non sarebbe meglio smettere di formularli e di eliminare del tutto il linguaggio morale? Non necessariamente.
La teoria dell’errore lascia aperte più possibilità. Due, in particolare: conservare la moralità in ragione della sua utilità ai fini della convivenza sociale pur nella consapevolezza dell’errore che ne è alla base oppure eliminare la moralità in quanto non semplicemente inutile, ma dannosa.
La prima possibilità, che Richard Joyce ha suggerito circa venti anni fa, è il finzionalismo morale “rivoluzionario”: se la moralità è fondata su un errore perché le entità cui i concetti morali si riferiscono non esistono, e se ci rendiamo conto di questo errore, possiamo continuare a usare quei concetti e il ...[continua]

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