Nina L. Khrushcheva, professoressa di International Affairs presso la New School di New York, è la coautrice (con Jeffrey Tayler) di In Putin’s Footsteps: Searching for the Soul of an Empire Across Russia’s Eleven Time Zones (St. Martin’s Press, 2019).

Alla fine del 1999, mentre il fragile Boris Eltsin cercava un successore tra i ranghi dei servizi di sicurezza, in Russia circolava una squallida barzelletta. “Perché i comunisti sono meglio del Kgb?”, cominciava. “Perché i comunisti ti rimproverano, ma il Kgb ti impicca”. Era più un avvertimento che uno scherzo. Sfortunatamente, la maggior parte dei russi non l’ha capito.
Quell’anno, Vladimir Putin -un uomo del Kgb al momento alla guida dell’agenzia che gli era succeduta, il Servizio di Sicurezza Federale (Fsb)- venne nominato primo ministro. Poco tempo dopo, avrebbe così ironizzato con i suoi ex colleghi dell’Fsb: “Il compito di infiltrarsi nel più alto livello di governo è compiuto”. Anche questo avrebbe dovuto far scattare un campanello d’allarme -anche perché Putin aveva ammirato a lungo Yuri Andropov, l’ex capo del Kgb che, per due lunghi anni, aveva governato l’Unione Sovietica con il pugno di ferro.
Dopo le turbolenze economiche e politiche degli anni Novanta post-sovietici, le persone desideravano ardentemente la stabilità, ed erano disposte a riportare il Kgb ai vertici del governo per ottenerla. Questo ha dato a Putin, che è stato eletto presidente nel 2000, l’apertura di cui aveva bisogno per stabilire un’autorità in stile Andropov su tutti gli aspetti del sistema russo, non ultime le industrie strategiche come petrolio e gas.
Putin si sentiva minacciato dai magnati privati che avevano ottenuto il controllo di quelle industrie durante la caotica presidenza di Eltsin. Quindi, mise al comando i cosiddetti siloviki -affiliati dei servizi militari e di sicurezza, come gli ex agenti del Kgb Igor Sechin e Sergey Chemezov.
In che modo gli eredi di organizzazioni che avevano operato un tale terrore durante il governo di Stalin negli anni Trenta e Quaranta sono riusciti ad assicurarsi il potere nel Ventunesimo secolo? In fondo, dopo la destalinizzazione di Nikita Khrushchev negli anni Cinquanta e la perestroika di Mikhail Gorbaciov alla fine degli anni Ottanta, il Kgb sembrava essere allo stremo, anche ai suoi stessi agenti. Molti, incluso Putin, si erano ritirati durante il governo di Gorbaciov, pensando che i servizi di sicurezza non si sarebbero mai ripresi.
Le cose sono cambiate dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Come poi è emerso, il Kgb era il meglio attrezzato per affrontare la transizione verso il capitalismo rispetto a qualsiasi altra istituzione sovietica. I suoi agenti erano amorali, pragmatici, ben collegati, impassibili davanti a orari di lavoro irregolari, e abili nella manipolazione orientata ai propri interessi.
Ha aiutato il fatto che le organizzazioni di sicurezza dello stato non fossero mai state sciolte. Il Kgb non solo era sopravvissuto a Gorbaciov; una sua versione -in gran parte depotenziata e ribattezzata Fsb- era sopravvissuta a Eltsin. I leader russi, liberali o meno, sono sempre dipesi dai servizi di sicurezza per mantenere il loro potere. Ciò che è stato diverso sotto Putin (e sotto Andropov in epoca sovietica) è stata la misura in cui i rappresentanti di quei servizi hanno esercitato direttamente il potere.
Per Putin, il rafforzamento degli organi di sicurezza dello stato sembrava un’assicurazione contro sconvolgimenti come quelli del 1991, che avevano portato alla fine di quella che lui chiama la “Russia storica”. E Putin è molto orgoglioso della stabilità del sistema politico che ha costruito -un processo che è stato senza dubbio aiutato dagli alti prezzi dell’energia e da una gestione relativamente competente da parte di alcuni siloviki.
Ma mantenere quel sistema è diverso dal costruirlo. L’approccio di Putin al governo della sua creazione è rappresentato dagli emendamenti approvati nel finto referendum costituzionale del 2020, che non solo danno una copertura legale alla sua leadership per molti altri anni, ma definiscono anche il cittadino russo ideale: un patriota, fedele allo Stato sopra ogni cosa.
Questo approccio ha comportato un cambiamento nel ruolo dei servizi di sicurezza nell’apparato statale. Putin prima prestava ascolto a siloviki come Sechin e Chemezov, e delegava persino funzioni cruciali ai suoi associati. Ora, egli detta la politica senza considerare punti di vista alternativi, delegando l’attuazione ai tecnocrati del governo, guidati dal primo ministro “robotico” Mikhail Mishustin. Più che mai, il potere quotidiano è nelle mani di organi di sicurezza come il Servizio Federale per la Supervisione dell’Istruzione e della Scienza (Rosobrnadzor), il Servizio Penitenziario Federale, e il Servizio Federale per la Supervisione delle Comunicazioni, della Tecnologia dell’Informazione e dei Media (Roskomnadzor).
Questi nuovi pilastri dell’apparato di controllo statale sono entità impersonali con un unico obiettivo: ripulire lo spazio politico da tutto ciò che è anti-Cremlino -ora inteso come anti-russo- e punire coloro che non mostrano sufficiente “lealtà”. A differenza degli siloviki, costoro non consigliano Putin su come gestire al meglio le sfide che la Russia deve affrontare, né riconoscono l’importanza dell’impegno internazionale per lo sviluppo interno della Russia. Invece, perseguono ciecamente l’obiettivo di Putin di assicurarsi a tutti i costi il controllo totale sulla Russia.
Alexei Navalny, l’avvocato anticorruzione incarcerato e leader dell’opposizione, ritiene che l’obiettivo principale del Cremlino nell’invasione dell’Ucraina sia stato quello di distrarre i russi dal declino del tenore di vita e innescare un effetto “raduno intorno alla bandiera”. Ancora più importante, tuttavia, è il fatto che la guerra equivale a un definitivo ripudio delle figure dell’Fsb che hanno guadagnato il potere durante i primi anni di Putin, e alla conferma del predominio di anonimi tecnocrati della sicurezza russi -i veri eredi del Kgb. Putin, ovviamente, resta al vertice; il nuovo sistema richiede questo.
Le agghiaccianti implicazioni di tale cambiamento sono attualmente evidenti in tutta la Russia. Da quando Putin ha lanciato la sua “operazione militare speciale” in Ucraina, sono stati arrestati più di 15.000 manifestanti contro la guerra, inclusi più di 400 minori. I media indipendenti sono stati bloccati o sciolti, con i media stranieri che non hanno avuto altra scelta che lasciare il paese. La condivisione di qualsiasi cosa diversa dalla narrativa ufficiale della guerra del Ministero della difesa è punibile con un massimo di 15 anni di carcere.
In questa atmosfera di repressione totale -ormai paragonata all’era di Stalin- i russi che non sono fuggiti si stanno allineando. Circa l’80% di loro ora dichiara di sostenere l’“operazione” in Ucraina. Non è sorprendente. Il boia senza volto regna di nuovo in Russia.
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